di Giancristiano Desiderio
Ricordava Croce che da quando il suo nome aveva acquistato notorietà come studioso gli accadevano con una certa frequenza dei casi che, forse, erano degni di qualche nota. Insomma, spesso e volentieri riceveva manoscritti di questo o quel tale che chiedeva un giudizio sul suo nuovo “Sistema dell’universo”. Il mondo, si sa, è pieno di pazzi ed è bello e sano anche per questo, basta che i pazzi non eccedano e non si trasformino in scocciatori di oraziana memoria, il che purtroppo accade non poche volte. Sta di fatto che – notava Croce – tutti questi pazzi furiosi di costruzioni di sistemi con cui si vuol dare fondo all’universo sono solitari, tendono all’isolamento, non hanno interesse per le faccende umane, non hanno amore per la storia né riguardi per i pensieri degli altri uomini e si pongono, invece, “faccia a faccia” con il “gran problema” e combattono con il mostro per domarlo. Mettersi a discutere con costoro è affare disperato e la miglior cosa, come si fa con i pazzi, è assecondarli. Croce lo sapeva per esperienza, soprattutto dopo “una gran paura che soffersi sette o otto anni fa” quando incautamente si mise a discutere con uno di questi costruttori e scopritori del mistero dell’universo e candidamente gli disse di non aver capito nulla del suo sistema e si sentì rispondere che, invece, la cosa era chiarissima e bastava afferrare la “losanga del pensiero”; al che Croce replicò che proprio la “losanga del pensiero” non aveva afferrato e così il volto del solitario costruttore del sistema dell’universo si scurì e il suo animo si agitò, tanto che Croce dovette rincuorarlo con parole di apprezzamento prima di congedarlo.
Sennonché, qualche settimana dopo Croce lesse sui giornali che proprio quel solitario pensatore che indagava sul mistero dell’universo, contrariato in un suo proposito dal suo superiore d’ufficio, aveva tirato fuori dalla tasca una pistola e si era sparato, cadendo privo di vita ai piedi del suo capo ufficio. Ecco perché da quel momento Croce evitò cautamente di contraddire gli autori dei manoscritti sui grandi sistemi dell’universo e se la cavava semplicemente suggerendo qualche lettura “o con la barzelletta che, se ci fosse un mistero dell’universo da scoprire, lo avrebbe già scoperto Platone, prima di loro”. Ma perché parlare di questi pazzi o di questi illusi?
Perché questi tipi curiosi che non mancano mai in ogni tempo ma che, forse, nel tempo della modernità e della tecnica sono più numerosi e agguerriti e più ingenui – e, aggiungeva Croce, se sono settentrionali sono ragionieri e geometri, se sono meridionali sono sfaccendati – questi pazzi furiosi sono la manifestazione radicale, con annessa e spontanea satirica caricatura, della “filosofia generale” e del “problema fondamentale”. C’è da augurarsi, ma si tratta di una speranza vana, che tra gli studiosi di filosofia e i grandi professoroni non si coltivi più il gran problema fondamentale che un tempo fu dei teologi e che ora può essere lasciato ai “ragionieri e geometri in vacanza” e diciamo che la speranza è vana perché ai nostri tempi ci sono grandi sacerdoti dell’essere e della tecnica al cui cospetto, forse, anche i simpatici costruttori di sistemi dell’universo che si presentavano a casa di Croce risultano più ragionevoli e più assennati. Tutti dovrebbero lavorare a intendere, diceva Croce, non più “l’enorme mister dell’universo” ma i piccoli misteri che ci affliggono e ci turbano nei nostri giudizi perché la filosofia altro non è che storia e dalla storia sorge la vita che lavorata e schiarita si fa maestra di storia ora nel pensiero e ora nell’azione creando quell’unico mondo nel quale non solo viviamo ma aspiriamo a vivere fino a quando ne abbiamo gusto, forza e volontà.