di Guido Bianchini
Per chi vive di pallone in provincia vedere la serie A significa concedersi una domenica diversa, una serata di gala che rompa la routine, spesso non proprio esaltante, delle categorie inferiori. Alzi la mano chi avrebbe creduto che un giorno la massima serie sarebbe potuta diventare un’abitudine da godersi non in altre piazze più blasonate, ma nel salotto di casa propria. Il 26 agosto 2017 sarà una data da ricordare perché per la prima volta nella storia calcistica del Sannio i cancelli del Santa Colomba, ora Ciro Vigorito, si sono aperti alla massima serie. È come se il salotto di casa fosse diventato d’improvviso salone da grandi feste e ricevimenti. Lo scotto da pagare è uno strano straniamento, il non sentirsi più padroni di spazi da sempre familiari, inevitabilmente mutati con il salto di categoria. In fondo tutte le preoccupazioni per l’accesso, la viabilità e il parcheggio dei giorni precedenti la gara non sono altro che il sintomo di quanto lo stadio cittadino sia percepito come la seconda casa di tutti gli appassionati, per cui tutto dovrebbe funzionare al meglio. Così non è stato per la campagna abbonamenti con file insulse sotto il sole cocente, utili solo a trasformare i botteghini nel lido più affollato del Sannio, ma almeno per l’accesso sembrano non essersi registrati disagi, nella speranza che la cosa non si complichi con la prevedibile pioggia dei mesi invernali. L’effetto immediato delle navette è un esodo di gente a piedi quasi di biblica memoria, divenuto poi, dopo la bruciante sconfitta, un grande e mesto corteo funebre. Superati i tornelli si respirava l’aria da classico primo giorno di scuola, in cui la nostalgia per la fine delle vacanze è mitigata dalla voglia di rivedere i propri compagni di ventura, con i quali si condivido gioie e soprattutto dolori della fede calcistica. Le solite facce compassate sempre al solito posto che spesso devono fare non poche manfrine per far capire ai nuovi adepti che, sebbene tutti siano ben accetti, le regole non scritte della scaramanzia e della fratellanza pallonara, prevedono che se in quel posto, affianco a tizio ci vado da una vita, lì voglio morire finchè le gambe reggeranno, i nuovi si mettono comodamente a fianco e respireranno lo stesso il solito “tuosseco” da tifo, perché sarebbe davvero poco elegante essere costretti a delimitare il proprio posto storico alla maniera dei cani. Entusiasmo comunque frenato dalla sconfitta di Marassi che per molti sa di antifona di un campionato nevrotico, perché dopo due anni da passeggiata di salute, la perderemo progressivamente agognando la salvezza. Una consapevolezza che non fa venir meno la voglia di sostenere la squadra, anzi per molti sa di nostalgico ritorno al veleno della Lega Pro. In questi ultimi tempi, in cui tutti si sentono più tifosi e hanno scoperto l’esistenza dello stadio come luogo di aggregazione, si sentono e leggono descrizioni molto idilliache, mentre le orecchie di tanti sono tornate a sentire le solite melodiose litanie di imprecazioni e “preghiere”, che arricchiscono il lessico dei più piccoli e li abituano da subito alla durezza della vita senza filtri edulcoranti e danno delle consapevolezze commoventi tipo :”papà è bravo, ma diventa pazzo solo quando vede il pallone”. In effetti il Benevento sceso in campo al Vigorito ce l’ha messo davvero tutta per far impazzire i suoi tifosi.
Un inizio deciso, ma inconcludente, segno che la grinta da sola non basta per sopravvivere in questa categoria e il romanticismo del collettivo da squadra operaia non regge più. I mezzi tecnici e l’esperienza fanno la differenza, costringono spesso a correre a vuoto e a disperdere energie in attesa che accada qualcosa e si accenda una luce. Ad accendersi però sono gli avversari che dopo aver preso le misure, gestiscono l’impeto con poca sostanza della Strega. Più che calcio ieri si è assistito a un incontro di boxe, in cui il pugile esperto lascia sfogare il giovane pieno di ardore per poi colpirlo già al primo round se il suo Destro non fosse stato velleitario. La pausa è servita solo a ripetere lo spartito e se l’impeto della Strega non si concretizza ecco Donsah improvvisarsi sciatore e ridurre i giallorossi a paletti immobili da slalom gigante per depositare la palla in fondo al sacco. Da lì, come è tipico della boxe, il pugile colpito si sveglia, dà fondo alle ultime energie e se Mirante decide di fare il suo mestiere, oltre che il provocatore e il giocatore da torneo amatoria che usa mezzucci indegni per perdere tempo, c’è poco da fare.
Molti in queste ore sembrano voler additare il gol annullato dal Var (sarei propenso ad usare il maschile, ma al femminile potrebbe essere foriero di goliardici doppi sensi in salsa beneventana) come il capro espiatorio di un punto che sarebbe stato d’oro, ma che non avrebbe cambiato i termini della questione: la grinta degli stregoni è evidente e lodevole, ma il divario tecnico, da cui dipendono errori purtroppo fatali, è ancora tutto da colmare, perché se il Benevento fatica a far punti con squadre di seconda fascia, non ancora in pieno rodaggio, non osiamo immaginare cosa potrà accadere con le vere big e non vorremmo dover munirci di pallottoliere. Nessuno chiede (a dispetto dei cori goliardici dei ragazzi di San Leucio del Sannio) a Vigorito di portarci in Europa, ma di correre ai ripari con innesti di categoria, per permetterci, anche tra mille difficoltà, di lottare per la salvezza ad armi pari, per non fare la figura del pugile sbarbato di belle speranze, ma pur sempre al tappeto.