di Giancristiano Desiderio
Gli studi hanno una natura individuale insuperabile per sforzi organizzativi e sociali che si facciano. La creatività, pur facendo parte del mondo e collaborandovi come si collabora nella vita tutta, è individuale e in questa sua concretezza risiede il suo segreto e la sua universalità. Si è soliti immaginare gli studi come campi arati da continuare a coltivare per non farli cadere nella selva e si è usi alla divisione di aree d’interesse e settori di ricerca per incentivare quegli studi piuttosto che altri. Non si nega che sia un’opera buona, come è buona a questo mondo ogni arte che si fa, s’impara e si mette da parte in attesa che serva. Tuttavia, l’opera degli studi non dipende dall’organizzazione, dalle scuole, dagli istituti, dai centri, dagli enti ma unicamente dal lavoro individuale perché è lavoro di passione e amore e necessità vitale di esprimersi e vederci chiaro per vivere. Ma c’è di più: perché alla stessa origine di una buona organizzazione o di una buona scuola o di un centro studi o, perché no, di uno studio professionale, c’è il genio individuale che ha avuto la capacità creativa di dar forma al lavoro conoscendone e adoperandone mezzi e fini. Così quando quella capacità che tutto anima viene meno, l’organizzazione resta inanimata e declina.
A volte nel perseguire la mania organizzativa si è rasentato e toccato il ridicolo istituendo persino “scuole di poesia” per coltivare una poesia proletaria da contrapporre alla poesia borghese, mentre la poesia non ha patria sociale e nasce quando vuol nascere, quando la melanconia batte al nostro cuore guardando la feroce aiuola delle nostre tramontate passioni. Dovrei dire che l’idea stessa della scuola di poesia – e l’idea ridicola e totalitaria insieme di scolarizzare la vita – è un’autentica barbarie ma la parola barbaro ha una sua violenta vitalità che è vicina alla forza espressiva della poesia e, dunque, in questo caso la barbarie riguarda la più crassa ignoranza che ha la radice nella presunzione fatale di tutto sapere e tutto risolvere negli intellettualismi che la vita e la storia s’incaricano personalmente di smentire e sbeffeggiare.
Negli studi, soprattutto quelli definiti umanistici, si sente dire che il tale studioso, quello storico, quel critico e – nel peggiore dei casi – quel docente universitario ha dedicato la sua opera al libro di Cervantes o al teatro di Shakespeare o alla filosofia di Hegel. Non c’è dubbio che sia così, ma in realtà così non è. Perché quello storico, quel critico, quello studioso e perfino quel docente universitario ha lavorato, se ha lavorato, a chiarire se stesso per capire il suo mondo e maturare dei giudizi più sicuri e saldi. L’origine dei suoi studi è nella sua stessa vita che lo spinge alla luce, lo tormenta, lo stimola di continuo con esperienze, dubbi, passioni che chiedono di essere rischiarate e rasserenate in un gioco di conoscenza e azione, pensiero e amore che ha le sue soste e i suoi consigli, i suoi risultati e le sue indagini ma che non avrà mai fine fino a quando lo studioso attraverso i suoi travagli avrà qualcosa da dire. Sì, perché accade anche questo: un ingegno si esaurisce. Non cade di certo nell’imbecillità, nelle cretinerie o nella follia ma, al contrario – nota Croce con la sua solita eleganza e finezza nelle sue davvero inesauribili Pagine sparse – esercitando la propria ragionevolezza, avverte che non ha altro da dire, da dire con l’esigenza, il bisogno, la necessità che aveva per l’innanzi. Come si suol dire “gli è venuta meno l’ispirazione, e l’ispirazione nessuno se la può dare, e perciò, vivendo ancora, gli spetta di cangiar mestiere, di addirsi a cose pratiche, o a minori cose pratiche, per vivere ancora degnamente”.
Se, dunque, questa è la natura degli studi, che ne è dell’organizzazione, delle scuole, dei centri, degli enti, degli istituti, delle accademie? Se la radice è nella passione e nella volontà dell’individuo e se la sua stessa opera per esser tale è individuale cioè individuata, allora, le organizzazioni scolastiche, disciplinari, ministeriali, scientifiche sono tristezze e scocciature che ci stanno innanzi e delle quali vanno limitati i danni. E i danni nel nostro tempo nascono perché si è invertito l’ordine dei fattori che, al contrario del detto comune e della regola aritmetica, muta il risultato perché i fattori non sono birilli e somme ma esperienze e intelligenze, purtroppo, insterilite. Allora, fate quel che volete e che dovete per ricavarne guadagni, soddisfazioni e vanità ma non rompeteci l’anima perché “il progresso del pensiero e del sapere si fa senza di voi e contro di voi, cioè fuggendo lontano dalle vie da voi segnate o sognate”: e sia gloria per sempre, o mio Maestro senza cattedra, alle tue sante e laiche parole.