di Amerigo Ciervo
A sostenere con pervicacia che i fatti non esistono ma a valere sono solo le interpretazioni, si rischia, spesso, di scambiare fischi per fiaschi. Se, tuttavia, ammettessimo come vera tale affermazione, dal vago sapore nietzschiano, dovremmo concludere che ogni interpretazione ha, in quanto tale, un suo valore. E potremmo finirla lì. Ma i fatti non sono necessariamente “stupidi”, sicché, specialmente quando ci sono per lo mezzo vite distrutte, donne e uomini torturati e morti ammazzati, sommersi e salvati, si dovrebbe essere un po’ più cauti. Giancristiano Desiderio riscrive una porzione della storia del nostro paese con il suo consueto, brillante stile, tutto teso, come si dice, a épater le bourgeois, a scandalizzare il borghese, non inforcando – egli ritiene – occhiali ideologici. L’operazione, purtroppo, è impossibile. Alla fine, sono sempre i fatti, come i fenomeni kantiani, che finiscono per adattarsi al nostro modo di conoscerli e non viceversa.
Ora se utilizziamo una categoria storiografica, mettiamo il fascismo, la utilizziamo nel suo divenire storico – e, quindi, riferendoci al regime totalitario, sia pure imperfetto, che ha dominato la storia italiana, attraverso una lunga e complessa serie di vicende, da molti italiani sempre meno conosciute, dall’ottobre del 1922 alla primavera del 1945 -, ad essa non potremo contrapporre la categoria filosofica del “comunismo”. Se vogliamo essere precisi, dovremo riferirci al partito politico chiamato PCI, nato a Livorno nel 1921, ad opera di Gramsci, Terracini, Bordiga, Togliatti e altri e “morto” a Rimini, nel 1991. Un partito totalitario? La storia, ci spiega Croce, non è possibile farla con i “se” (ma questo lo sapevano anche i nostri vecchi contadini quando utilizzavano un’espressione volgare ma efficace e molto vicina alla concezione storiografica crociana: “Se Cola, traduciamo, si fosse recato al bagno, non sarebbe morto”), sicché, dovendo lavorare con i fatti, la “chiesa totalitaria di Togliatti” è un’immagine seducente ma che, storicamente, non significa nulla perché, non avendo il PCI mai governato questo paese, il suo “potenziale” – lo concediamo – totalitarismo mai ha avuto la possibilità di attualizzarsi. Sappiamo, invece, che donne e uomini di quel partito, insieme a donne e uomini di altre formazioni politiche, hanno combattuto il fascismo. E’ indubbio che, da soli, gli italiani non ce l’avrebbero fatta (ad eccezione dei napoletani i quali, in quattro giorni, riuscirono a liberarsi dai tedeschi). Ma la democrazia non l’abbiamo ricevuta in dono. Ce l’hanno conquistata, con il sangue versato in una terribile guerra civile, gli uomini e le donne che compirono la scelta tragica. Come tragiche sono tutte le scelte fondamentali.
In realtà, questo paese, con la memoria, ha sempre avuto un rapporto difficile. Da sempre, da più parti, si tenta di riversare tutto in una capiente padella, per friggere la solita frittata, alla solita maniera italiana. Che è quella di mescolare tutto. E chi s’è visto s’è visto. “Scordammece ‘o passato” e “chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato, ha dato”. Siamo abituati a polemizzare sul nulla e tutto, spesso, si volge in “politica politicante”. Ma la grande meraviglia è che, nel 2017, in Italia, ci siano ancora dei fascisti. Un po’ come se, negli USA, ci fossero ancora dei sostenitori delle colonie e di re Giorgio III o, in Francia, i tifosi dell’ancient régime e di Luigi XVI. In Italia, qualche ora fa, un deputato della repubblica può tranquillamente postare su Facebook una foto di Emanuele Fiano, il figlio di Nedo, deportato ad Auschvitz e unico superstite della sua famiglia, accompagnandola con la scritta seguente: “che poi, le sopracciglia le porta così per coprire i segni della circoncisione”.
Il nostro, in certi momenti, appare proprio un paese senza speranza. O, forse, senza vergogna. E’ vero, come dice Desiderio, che il nostro paese non sa guardarsi allo specchio ma se lo specchio, del fascismo e dell’antifascismo, ci restituisse un’immagine ugualmente sbiadita, sarebbe necessario cambiarlo subito. Ci staremmo specchiando in uno di quegli specchi deformanti, buoni per Edenlandia, ma di sicuro inadatti a farci fare i conti con la memoria.