A peregrinar per tavole e cantine si finisce storditi. Scrivere e leggere, leggere e scrivere di pietanze e vini, di osti e vignaioli, seguire le polemiche, i trend, le mode, le contromode, le critiche e le marchette; infine si resta inebetiti e assorbiti anche da ciò che non piace: la ricerca della perfezione, del migliore, dell’eccelso, ops pardon, dell’eccellenza. Sia bandita l’eccellenza. In questa rubrica, a ben vedere, è stata già bandita con pezzo di più d’un anno fa ma non è bastato. Mi accosto a nuove tavole e nuovi vini sempre con l’insana, malcelata speranza di scoprire il ristorante dei ristoranti, il megacuoco. In Odissea Gastronomica non si pubblicano classifiche e non si usano stellette, stelline, calici e grappoli eppure il mainstream ha operato subiliminalmente e sublimemente, instillando la mania del ristorante perfetto.
Il vento fortunatamente purifica l’aria, spazza via le cataratte, le veline e l’ordinario, dona nitidezza.
Non casualmente, allora, in una domenica ventosa La Trattoria del Padreterno concede la grazia di farci riscoprire quanto sia piacevole mangiar bene senza stupirsi e scrivere una recensione senza superlativi.
Dopo la prima guerra mondiale Salerno era un piccolo centro in cui le osterie si contavano sulle dita di una mano e le tavole erano apparecchiate sotto insegne dai nomi evocativi o delicati (Osteria delle Rose, ad esempio). Una di queste vecchie taverne si chiamava appunto Trattoria del Padreterno denominazione che Ciro Napoletano decise di mutuare allorché piantò fornelli e tavole in un vecchio magazzino ristrutturato nel centro del capoluogo dell’antico Principato Citra. Aprì al pubblico il giorno di San Gennaro del 1999. Napoletano di nome, di fatto e di conseguenze.
Nella bella piazza intitolata a Flavio Gioia, fantomatico amalfitano presunto inventore della bussola, aperta a ovest sul centro storico dalla settecentesca Porta Nuova e chiusa a semicerchio da anonimi palazzi dalle belle facciate rosa, un tempo gli ambulanti vendevano il pesce e vi si svolgeva la fiera di San Matteo, patrono della città la cui statua troneggia sulla Porta Nuova stessa. Oggi, appena valicato lo spazio della piazza, venendo dal lungomare, una pescheria ricorda l’antica vocazione del luogo mentre al centro della “rotonda, come i salernitani chiamano questo slargo, troneggiano e spruzzano acqua aggraziati delfini scolpiti dal maestro Riccardo Dalisi.
Segnalata da una lisca di pesce scolpita nel legno la trattoria di Napoletano regala una cucina semplice e saporita. Ricchi antipasti di mare semplici ma non scontati come i saporiti hamburger di tonno o le cotolette di baccalà col puree di patate o ancora le patate lesse con colatura di alici.
Lungo il filo conduttore della semplicità, con un menù recitato a voce dal garbato e simpatico cameriere, si snodano primi marinari eseguiti senza sbavature: candele spezzate, in bianco, con i cannolicchi, spaghetti con le vongole, paccheri con pomodorini e seppie.
I secondi di mare puntano sulla freschezza del pescato e la dimestichezza con le cotture dell’anziano signore ai fuochi (non chiamiamolo né cuoco né chef, privilegiando la dimensione umana e familiare di questa trattoria).
Dovremmo spendere qualche aggettivo superlativo per i dolci ma fedeli alla promessa di qualche rigo sopra ci tratteniamo. La degna conclusione di un pasto apprezzato è la soddisfazione regalata dai pasticci dell’antica dolceria Pantaleone di Salerno: delizia a limone che accarezza il palato e soddisfa le papille gustative, profitteroles cioccolatosi e pannosi come si deve, su tutto la “scazzetta” vocabolo che indica il copricapo cardinalizio e che qui, evocato dal colore della cuffieta degli alti prelati, è declinato in forma di pan di spagna imbevuto di rum, ripieno di crema e fragoline, ricoperto di glassa alla fragola. Lo spazio per il dolce, è noto, resta a parte nei pancioni dei mangioni. Potrebbe parer superfluo, dunque, raccomandare di lasciare uno spazio per una dose anche doppia di questo dolce, dispensiamo, comunque, il consiglio a beneficio dei distratti e di chi mangione non è.
Carta dei vini inesistente e declamata molto approssimativamente a voce.
Conto sui trenta euro, più che equo per qualità, quantità e location.
Trattoria del Padreterno
Piazza Flavio Gioia, 12 – Salerno
089 239305