di Giancristiano Desiderio
Bisogna vivere come si pensa e pensare come si vive. E’ una pratica difficile ma indispensabile perché prima o poi arriva per tutti il momento del dialogo sulla salute. Bisogna decidere se essere padroni o servi e per quanto la storia s’incarichi di capovolgere i ruoli e di fare dei servi i padroni e dei padroni i servi, è pur vero che siamo tutti un po’ padroni e tutti un po’ servi ma ci sono padroni che sono caporali e servi che sono camerieri. E’ inutile chiedersi come si deve pensare, forse è più sano dirsi come si deve vivere e da lì, dal cuore battente della propria vita morale, iniziare a risalire la china della salutare persuasione per non rimanere affogati nella fanghiglia della rettorica. E non chiedete ad altri, figurarsi a me, dove tien dietro la via della persuasione perché su questa strada ognuno deve imparare da sé a cadere e rialzarsi sperando che un po’ la sorte gli arrida. Così non fu per Carletto Michelstaedter che fu assassinato dalla vita e morì non per difetto di fiamma ma per eccesso di fuoco, come se la sua anima fosse stata invasa da un’insopportabile abbondanza di verità e la stessa occhiuta altalena tra la persuasione e la rettorica – il controllo e l’abbandono – avesse visto il volto del dio nascosto.
La pratica della libertà ci dà la via della salute che, qualunque cosa accada, è già una promessa mantenuta di salvezza. Perché – ed è bene e giusto, insomma, salutare – impararlo subito, senza piagnistei e senza ingiuriare i padri e gli dèi: ci si salva e ci si danna da soli. Il sentimento tragico della vita non prevede il salvacondotto del risentimento livido dell’esistenza. E qui intorno è tutta una passione invidiosa in cui le pecche delle proprie inerzie si trasformano nelle colpe degli altrui tentativi di conquista andati a bersaglio. Bisogna imparare a mettere il mondo in quadra e poi saltare sulle navi e sulle scialuppe e prendere il largo sapendo che i venti contrari sono sempre maggiori del soffio di poppa. L’animo risentito inveisce, ingiuria, maledice. Chi? Il vento.
La richiesta di qualcuno che ci venga a salvare è un rimedio peggiore del male. La nostra storia, quella degli ultimi due secoli e quella, forse, della nostra anima fin da quando esiste la parola per esprimere l’attiva passione, la si potrebbe dividere tra persuasi e retori o tra coloro che sanno che ci si salva da soli e coloro che chiedono un istituto salvifico al quale vendere l’anima in cambio del corpo. La teologia è ancora accettabile, per chi ha i denti da latte; ma lo Stato è davvero il pericolo più grande quando si arriva a pensare che la salvezza – la salute, Carletto – coincide con il suo rattristante perimetro legislativo e una morale fattasi ministero. I teologi politici dal ciglio alzato e la cultura di massa danno lezioni di vita non a noi, che è facile, ma alla vita stessa affinché si faccia statificare e sebbene sia un proposito stupido pur fa danni immani perché, come amava ripetere Anatole France, l’imbecille è più funesto del malvagio: il malvagio a volte si riposa, l’imbecille mai.