di Giancristiano Desiderio
In una cucina vivevano, in due gabbie vicine ma separate, due uccellini: un canarino e uno stornello. Il canarino, giallo come l’oro, cantava che era una delizia. Lo stornello, nero come la pece, cantava invece che era uno strazio. Lo stornello era invidioso del bel canto del canarino e per far bella figura e rivalersi si mise a studiare. Chiese all’amico gatto, che gironzolava per la casa, di portargli qualche libro dal salotto e così lesse i libri dei grandi filosofi e si convinse, dopo aver letto Marx, di essere un uccellino filosofo marxista e invece di imparare a cantare teneva severe lezioni di filosofia al canarino e al gatto. Gli piaceva tanto la frase di Marx che diceva: “Non è la coscienza a determinare l’essere sociale ma è l’essere sociale che determina la coscienza”. Insomma, diceva tra sé e sé, la coscienza non esiste, è falsità.
Una sera i padroni di casa uscirono per andare a teatro ma dimenticarono di preparare la cena per il gatto. Giunta l’ora della pappa, il gatto trovò il piattino vuoto. Aveva la pancia vuota, lo stomaco gli brontolava, era inquieto e agitato, pensieroso, gironzolava per la casa, miagolava e passava e ripassava sotto le due gabbie del canarino canterino e dello stornello filosofo. Fu allora che l’uccellino marxista vedendo l’amico gatto così affamato e disperato gli disse: “Caro amico mio, che fessacchiotto che sei! Invece di patire così la fame apri la gabbia del canarino e fanne un sol boccone. E’ mai possibile che tu ancora non abbia imparato ad aprire la porticina della gabbia come fa la padrona? E’ facile: allunghi la zampa, tiri su l’uncino, apri lo sportellino e il gioco è fatto. Sei proprio un ingenuo”. Il gatto ad ascoltare le parole del grande filosofo marxista rimase perplesso, pensò alle cure che riceveva dai padroni e all’affetto che lo legava al canarino. Così disse: “Ma come si fa, e la coscienza?”.
Fu allora che lo stornello poté fare sfoggio di tutto il suo sapere: “Mamma mia, come si vede che non conosci proprio il mondo. La coscienza non esiste, è solo una maschera che i più forti hanno inventato per darla a bere ai più deboli e dominarli con le azioni e con le idee. La coscienza è un pregiudizio delle anime belle e delle anime deboli. Se vuoi essere forte ti devi liberare del trucco della falsa coscienza. Solo così sarai padrone dei tuoi padroni borghesi, del mondo e di te stesso”. Il gatto era sempre più affamato e il desiderio di mangiare e soddisfare la pancia vuota era così forte che in fondo in fondo desiderava anche dar ragione allo stornello marxista che gli spiegava come andava il mondo e gli suggeriva di mangiare il canarino perché era invidioso del suo bel canto. Così il gatto saltò sul tavolo che era sotto le gabbie, con un abile colpo della zampa sollevò l’uncino, aprì la porticina, mise la zampa dentro per prendere il canarino e avvicinò la bocca. Era pronto per fare un solo boccone del canarino canterino quando sentì la porta aprirsi e il rumore dei passi sempre più vicini in corridoio. I padroni erano ritornati. Il gatto ebbe paura e fu in quell’attimo di esitazione che il canarino invece di cantare volò via dalla gabbia e dalla finestra aperta.
Trascorse un po’ di tempo. Un bel giorno i padroni uscirono per andare ancora una volta a teatro e ancora una volta dimenticarono di lasciare la cena pronta per il gatto. Ritornò anche la fame. Questa volta, però, il gatto ricordò la lezione dell’uccello marxista: saltò con un balzo felino sul tavolo, aprì risoluto la gabbia, con la zampa afferrò il filosofo e divorò lo stornello e la sua filosofia marxista. Il gatto, che ora aveva la pancia piena, non ebbe mai neanche un pallido rimorso di coscienza.
(La favoletta non è mia ma di un geniale scrittore russo dell’Ottocento: Ivan Krylov. Mi sono limitato a rielaborarla con qualche variante. La lessi da bambino in un libretto Mondadori che i miei genitori mi diedero da leggere: La danza dei pesci e altri favolelli. La favola mi è ritornata in mente in questi giorni e l’ho riletta. Mi sembra molto istruttiva perché viviamo tempi in cui mossi dal risentimento si è soliti dare cattivi consigli che non tardano a ritorcesi su chi li dà. Come accadde al povero stornello filosofo marxista).