di Giancristiano Desiderio
Il valore del lavoro di Raimondo Consolante – Benevento. Architettura e città nel Moderno, Clean edizioni – è nella capacità dell’autore di pensare la città attraverso l’architettura. Un “esercizio faticoso” con il quale l’architetto beneventano si è allenato fin dalla giovinezza con studi seri e appassionati che gli hanno consentito anche di riversare analisi e intuizioni nella pubblicistica locale. Parlo a ragion veduta: vent’anni addietro, per una stagione breve ma intensa come un’estate invincibile, ho avuto la fortuna di lavorare gomito a gomito con Raimondo Consolante nella redazione d’assalto de Il Sannio. Il lavoro si svolgeva così: io leggevo lui con profitto e lui leggeva me, non con egual profitto, e ci si criticava scambievolmente nel comune intento di pensare la città tramite i suoi contrasti e i nostri conflitti d’idee. Su quelle pagine quotidiane, Consolante aveva la non ordinaria qualità di illustrare con sapienza la storia urbanistica di Benevento, mettendo in luce i nodi critici e inoltrandosi, sulla scorta dell’identità storica e urbana, nei disagi del presente e nei bisogni del futuro.
Benevento. Architettura e città nel Moderno è già considerato un punto di riferimento nella storiografia beneventana e studiosi e storici – ma, perché no, anche giornalisti e amministratori – non potranno fare a meno di consultarlo e interrogarlo. La periodizzazione storiografica operata da Consolante testimonia il rigore della ricerca: il testo prende le mosse dalla “rifondazione della città” quando Benevento non è più enclave pontificia ma cittadina italiana e, se non si apre al mondo, almeno si apre a se stessa “naturalizzando l’urbano e urbanizzando la natura”, come osserva Pasquale Belfiore nella prefazione del volume. E’, insomma, con la “nuova Italia” che Benevento si rinnova portando dentro il perimetro longobardo aperture e giardini e fuori le mura, e al di là dei fiumi, residenze, edifici e caseggiati – lo stesso Corso Garibaldi, il Palazzo del Governo fuor di misura, l’Atlantici e il Mellusi – per un progetto aderente ai luoghi che, infine, da Luigi Piccinato agli insediamenti degli anni Cinquanta, è ancora oggi, tra contraddizioni, minacce e manomissioni, quella cosa che si chiama Benevento che i più, ma non tutti, fa sentire a casa.
Consolante non nasconde né a sé né al lettore che la città come “organismo urbano vivo” in cui ha preso forma “un episodio evidente di città moderna” attraversa oggi un’ora difficile e, forse, decisiva per la sua sorte perché è presente la minaccia dell’urbanizzazione “diffusa e intensiva”. Lo studio, infatti, proprio perché serio lavoro storico-urbanistico ha in sé anche un valore progettuale o prospettico. L’urbanizzazione anarchica e scriteriata non nasce tanto dalla speculazione quanto dall’assenza del “ruolo identitario” che Consolante ha così ben ricostruito donandolo ai beneventani come atto d’amore e invito a ripensare o, come dice lui, ri-conoscere la città perché non sia indifesa e sconsolata.
Ci sono due fatti precisi che obbligano a ripensare la città considerando la sua storia: il post-terremoto e l’alluvione del 2015. Non è un caso che l’immagine della copertina del libro sia una fotografia scattata da Pasquale Palmieri pochi istanti prima che su Benevento si abbattesse quel nubifragio che la città costruita tra due fiumi e a valle di un bosco ha ampiamente mostrato, impantanandosi, di non saper governare. Il racconto di Consolante, ricchissimo di informazioni e frutto di un’acribia filologica ammirevole, è davvero prezioso per rinnovare Benevento. Mi sovviene un aneddoto non “fuori-luogo”: l’architetto Nicola Pagliara, consulente al Piano per il Rione Libertà con un buon lavoro, avrebbe voluto spostare l’Arco di Traiano. Quando glielo riferirono, l’ex sindaco Pietrantonio disse: “E’ più facile che spostino Pagliara”.
Non servono stravolgimenti ed eccentricità. La strada indicata da Consolante per sottrarre la città alla deriva è la storia: nel Novecento Benevento diventa una “città plurale” con un equilibrio tra “cultura” e “natura” ma l’armonia è perduta quando la storia è ignorata. Oggi la città plurale, alta e bassa, signorile e popolare, non va né estesa né appesantita ma riqualificata e nuovamente orientata affinché non sia né sconsolata né consolatoria, come appare, ma una adulta e insperata città consolante.