di Giancristiano Desiderio
Sulle colline che guardano Benevento da una parte ed Apice dall’altra c’è un cimitero invisibile. Lì, senza che nessuno sospetti nulla, vengono seppelliti sul terreno di una tenuta curata da un egiziano i cadaveri di sconosciuti che si sono messi contro un clan malavitoso di Napoli e dintorni. Il becchino è un prigioniero del boss Faccia di pietra. Il suo nome è Leo ma è noto come l’americano. Ritornato dal Connecticut per i funerali della madre, ha provato a tagliare la gola a Faccia di pietra che gli uccise il padre – l’Uomo Ragno -, ma non essendoci riuscito ha avuto salva la vita al prezzo della schiavitù.
Il romanzo di Massimiliano Virgilio – L’americano, Rizzoli – prende quota quando la scena passa da Napoli a Benevento e Leo, all’età di ventisei anni, si rinchiude per dodici lunghi anni in una sorta di auto-prigionia in cui teme, al di là del possibile, che Faccia di pietra uccida la moglie e il figlio appena nato al di là dell’Atlantico. Il tempo lo passa a seppellire cadaveri e a prendere sull’erba e la nuda terra la ragazza, mezzo pazza, dell’egiziano che pur lo tiene rinchiuso in una roulotte. Ma proprio mentre scava la fossa agli altri e a se stesso, un giorno l’americano riconosce gli occhi di un poveraccio che ancora non è morto e mentre sta per essere calato nella fossa accanto al fiume Calore che ha straripato per l’alluvione ha ancora la forza di raccontargli tutto e consegnargli una missione: “Raccontaglielo, sopravvivi e raccontaglielo”. A chi? Al figlio Marcello che un tempo ormai lontano ma, evidentemente, non sepolto era l’amico inseparabile dell’americano fino a quando il padre di Marcello – Eduardo, impiegato al Banco di Napoli – non riuscì a separarli sottraendo il figlio al fascino dell’amicizia di Leo che cresceva come un piccolo camorrista in una famiglia di camorristi attraversata dalla vitalità, dal dolore e dalla morte.
L’amicizia tra Leo e Marcello, nata al primo sguardo tra un pallone ed un coltello, è la protagonista di questo romanzo dove dominano lo straniamento e lo smarrimento. Il sottofondo è la storia italiana degli ultimi trenta/quarant’anni i cui rumori risalgono le scale delle case e delle vite fino ad abitare uomini e cose che, travolti dalle esistenze e dagli accadimenti, faticano a trovare un posto nel mondo e a capire cosa succede. Eduardo, morendo, prega Leo, che sarebbe potuto essere suo figlio, di non arrendersi e sopravvivere per poter raccontare la verità a suo figlio Marcello perché ha da farsi perdonare due cose: aver separato Marcello da Leo ed essere diventato lui stesso, dopo il declino del Banco di Napoli e il suo pensionamento un uomo di affari al servizio di Faccia di pietra e aver assoldato un killer del clan per uccidere l’amante della moglie di Marcello, bella come una Venere nera. Una storia incredibile?
Un romanzo è una macchina retorica in cui la lavorazione dei sentimenti, tramite le figure dei personaggi, conta più della trama, per quanto quest’ultima possa essere – come si usa dire – avvincente. L’amicizia di Leo e di Marcello, dell’americano e della voce narrante la loro storia, tiene unito il romanzo con una malinconia che accarezza ogni pagina, anche quando i due amici, uniti e divisi dalle famiglie, non si frequentano più e non sanno più l’uno dell’altro, né l’uno del padre dell’altro. La malinconia, e l’amicizia tra amici e padri e figli che c’è anche quando non c’è, è la luce che illumina ogni cosa. Leo e Marcello si rincontrano dopo ventuno anni e si “ritrovano” perché l’amicizia, passata attraverso l’abbandono e la rinascita, la sepoltura e il disseppellimento, può essere opera di redenzione. L’americano va con la moglie e il figlio a vivere a Puerto Rico e consegna a Marcello la mappa del cimitero invisibile che scaverà la fossa a Faccia di pietra e al suo clan mentre dalle sponde del Calore riemerge un passato che neanche l’alluvione aveva spazzato via, perché ogni cosa ha la sua luce.