di Giancristiano Desiderio
Ci sono cose che noi mortali non solo non pensiamo ma neanche immaginiamo. Ad esempio, che siamo eterni e non moriamo. Però, c’è anche chi dice no. Ad esempio, Emanuele Severino che – sia detto in estrema sintesi – pensa che tutto sia eterno anche questo mio scrivere e, caro lettore, questo tuo leggere. Tutti gli scritti di Severino ruotano intorno a questo concetto che chiama “destino della verità”, anche l’ultimo suo libro Storia, Gioia (Adelphi) che, a dispetto del titolo, è una battaglia mortale dello stesso Severino con la morte. Perché, in fondo, anche se i suoi libri parlano dell’essere che, alla maniera di Parmenide, è necessario e eterno, Severino è ossessionato dal non-essere, dal niente, dalla morte, da Eraclito. Quasi una sorta di esorcismo, ma ciò non deve meravigliare perché la filosofia – come già il mito e come oggi la tecnica – vuole essere un “rimedio” al senso tragico del divenire: il nulla. Sennonché, non solo il rimedio è stato peggiore del male – il totalitarismo – ma tutti i rimedi hanno fallito contro il “pungiglione della morte”, compreso l’ultimo: la tecnica.
La contemporaneità è un tempo in cui la stessa verità è storia ma per Severino, che fa emergere il sottosuolo di questa verità storicista, la convinzione che un qualsiasi “esistente” abbia carattere storico non solo è un abbaglio ma è una Follia estrema perché l’ente non va dal nulla al nulla e ogni essente è eterno. Anzi, perché ci possa essere Storia c’è bisogno proprio degli eterni ossia degli uomini nella cui esperienza si manifesta il “destino della verità”. La morte è per Severino un’illusione perché in realtà nel comparire e scomparire degli uomini si mostra la Gioia che è una sorta di Pianura – come la Pianura della Verità in Platone – in cui tutte le cose sono già salve. Possibile? Perché, allora, non siamo salvi? Severino citando il Vangelo dice che “gli uomini vollero le tenebre piuttosto che la luce” perché si illudono di sapere cosa siano tenebre e luce e così non si avvedono che nella loro essenza sono “eterne luci infinite”.
I filosofi non vanno solo letti ma anche digeriti. Come Severino fa emergere il sottosuolo del pensiero occidentale, così i suoi lettori devono sforzarsi di indagare i sotterranei della sua filosofia (che lo stesso Severino non ritiene che sia la “sua” filosofia ma la stessa Verità che tramite lui si manifesta). Nei sotterranei della sua filosofia o nel sottoscala c’è la violenza o, meglio, la convinzione che attraverso l’apparire della Verità possa superarsi la violenza che ha la sua radice nell’idea che l’uomo non sia eterno e che le cose escano ed entrino nel nulla e l’uomo debba dominarle. Ma se nulla è nulla e tutto è eterno vien meno la contraddizione che genera la stessa storia occidentale e il bisogno della violenza, della volontà, del dominio. Il rimedio di Severino contro la morte è una sublime tautologia in cui l’essere è se stesso in eterno e noi eternamente gli apparteniamo. Basta un errore di logica della filosofia, qual è la tautologia, per vincere la morte?