di Giancristiano Desiderio
Forse non c’è sufficiente attenzione per un fenomeno che ora, nell’esima emergenza italiana dovuta al rigore invernale e al terremoto, dovrebbe mostrarsi con chiarezza: alla modernità del sistema dell’informazione corrisponde l’antimodernità del sistema-paese. Più siamo informati, meno siamo sicuri. In ogni campo: clima, territorio, sanità, istruzione, giustizia, fisco, istituzioni. Come se le notizie che abbiamo in ogni espressione della vita civile, e anche della vita intima – si considerino i cosiddetti femminicidi -, non fossero uno stimolo alla conoscenza della realtà per la soluzione pratica dei problemi bensì una sorta di esorcismo o di incantesimo capace di liberarci dal male oscuro. In concreto: siamo un paese anti-moderno che crede di rispondere ai naturali, troppo naturali disagi del clima con l’allarme meteo; siamo un paese anti-moderno che ricerca la risposta ai terremoti nella sfortuna, nella fatalità e nelle maledizioni; siamo un paese anti-moderno perché diviso in tifoserie politiche e bande partitiche votate all’inseguimento di un potere che si ritiene capace di salvarci e trarci fuori dalla nostra condizione, mentre dovremmo dare scacco all’ossessione del potere limitandola e limitandolo per provare a salvarci ed alzarci da soli. Siamo un paese anti-moderno che ha fatto del ritardo mentale e dell’irresponsabilità politica la sua personalissima via alla modernità arretrata. Siamo un paese anti-moderno che campa sui suoi mali e sopravvive sulle sue sciagure.
L’Italia cammina come il gambero: un passo avanti e due indietro. Non è soltanto una metafora. Neppure l’eterno discorso sui vizi e le virtù degli italiani che sono come sono. E’ il ritratto della nostra modernità arcaica. Sì, perché in fondo in fondo la modernità ci fa difetto. Cos’è la modernità? Conoscenza dei fatti e intervento della volontà, là dove – beninteso, perché il moderno non è un assoluto – la volontà può intervenire e fare la sua parte. La modernità è anche rassegnazione e accettazione quando, però, si è fatta la propria parte. Ma è proprio questo ciò che non si vuol fare: la nostra parte.
L’italiano perfetto è la creatura di Collodi: Pinocchio ma non Pinocchio pane e vino, carne e ossa, redento dai suoi stessi inganni e conseguenti sventure, no; è il Pinocchio burattino di legno che crede nei miracoli, che spera che sotterrando quattro soldi possa spuntare e crescere l’albero delle monete d’oro che risolverà tutti i suoi problemi e così vivrà per sempre nel paese dei Balocchi, il Belpaese. E’ l’italiano-Pinocchio che ha per amici i due compari, il gatto e la volpe che lo ingannano, perché lui stesso si crede furbo e ricerca una scorciatoia che lo conduca verso la salvezza e invece così facendo si mette nei guai. L’antimodernità è proprio questa idea della scorciatoia che deve condurre in poco tempo e con poca fatica in un luogo sicuro, che non esiste nemmeno, in cui altri sono giunti percorrendo una strada più lunga con maggior tempo e molto lavoro, un lavoro continuo. Di volta in volta la scorciatoia antimoderna è la verità assoluta, il potere incorruttibile, la giustizia sociale, l’uomo della provvidenza, l’antifascismo, il Partito, il cambiamento, la rivoluzione, il partito degli onesti che fornisce la soluzione definitiva che non c’è ma si finge che ci sia perché ognuno è insieme corrotto e corruttore.
Machiavelli, che è un po’ il padre della modernità, amava dire che la condizione umana è cinquanta e cinquanta, per metà è nelle nostre mani e dobbiamo governarci e per metà è nelle mani della fortuna ma la nostra parte è bene farla per avere anche un po’ di buona sorte. La vita, diceva, è simile a un fiume del quale è saggio curare le acque e gli argini quando è calmo così quando verrà la piena e verrà la bufera i danni saranno limitati. Ma le acque e gli argini non sono mai curati così all’arrivo della piena si contano i danni, i feriti, i morti e se non c’è stato l’allarme meteo si mette sotto accusa chi avrebbe dovuto allertare e non l’ha fatto, pensando che con una buona sirena si risolva ogni cosa, e se l’allarme meteo c’è stato ci si stupisce che l’inverno sia invernale o che l’autunno sia autunnale e si mette sotto accusa chi ha modificato nientemeno che il ciclo delle stagioni e della natura che sarebbe così bella e buona se qualcuno, chissà chi, non le rompesse le scatole ora riscaldandola e ora raffreddandola. I grandi discorsi intorno alle soluzioni definitive – fatti da tutti: chi governa e chi è governato, troppo governato – sono così comodi perché costituiscono un alibi perfetto per chi non vuole fare la sua parte nella cura delle acque e degli argini del fiume. A cosa serve fare la propria parte se ci si può indignare? Il sistema dell’informazione nel paese anti-moderno non serve a fornire notizie per stimolare conoscenze e fare scelte. Serve ad altro, serve per indignarsi. Ci indigniamo per tutto, anche per le nevicate abbondanti e ce la prendiamo con il Padreterno e con Madre Natura e anche con noi stessi chiedendoci sconfortati cosa abbiamo fatto di male per meritare tutto questo. Niente, non abbiamo fatto niente, non abbiamo fatto la nostra parte. La Natura e il Padreterno, almeno loro, sono in regola. Il cinquanta per cento mancante è italiano.