di Antonio Medici
Le schede tecniche dei vini sono tabulati meccanografici compilati manualmente. Ci sono attimi, istanti, quelli che passano tra vedere alcuni vini ondeggiare nel bicchiere, odorarli ed ingoiarli, in cui può pensarsi questo. A complemento appare, un po’ come la mamma di Woody Allen in New York Stories, a dominare e tiranneggiare, l’immagine dell’uomo irrigidito sulla sedia con i manicotti neri, quelli che proteggevano il lindore scialbo degli avambracci di burocrati idioti. Questo accade quando, cogliendo uno speciale luccichio nei gesti e nelle parole di un’ostessa, ci si affida alle sue scelte. Giunge in tavola un Antenato, vino rosso delle misconosciute colline lucchesi e stupisce, disorienta, accoglie. Accoglie con misericordia ogni traccia di malessere o semplice stanchezza e la tramuta in stille di colore, odore, sapore non pienamente armoniose ma ferme, avvolgenti, profonde, conturbanti.
Vivacissime bordure violacee, esuberanti, chiudono un consistente rubino profondo. È piacevole apprezzare come il vino si muova denso nel bicchiere per spigionare un bouquet di profumi intensi, boscosi e speziati. Si apre innanzi agli occhi la visione di rovi di more, chicchi di pepe, chiodi di garofano, legno umido. Se si potesse definire con un colore l’olfatto di questo vino, si sceglierebbe il rosso cupo ed il marrone.
Il sorso è complesso e le percezioni si dipanano tra lo stuzzichio dell’acidità e la presa alle gengive dei tannini, non fastidiosa ma ben assestata. Non è una sinfonia mozartiana, piuttosto una suite be-pop di Dizzie Gillespie. Alcuni tratti rilevati all’olfatto non si ripropongono in bocca, ma imperversa piacevolmente la visione di un tronco di vite robusto, magnifico nella sua irregolarità generosa.
Il vino è materia viva che può entusiasmare anche quando i canoni rigorosi delle schede tecniche lo relegherebbero nella foltissima schiera dei buoni, non eccellenti. È in questi casi che si avverte la necessità di descrizioni, recensioni evocative. Le schede tecniche, le associazioni dei sommelier (mi onora far parte di una di esse, la più prestigiosa), le associazioni degli enologi svolgono un ruolo essenziale per la diffusione della conoscenza e della cultura del vino. Senza questo sostrato non si potrebbe nemmanco discernere il buono dallo scadente e questo dall’eccellente. La schede di degustazione redatte seguendo criteri ordinati ed univoci sono indispensabili per poter organizzare una valutazione nell’interesse dei produttori (forse troppo spesso) e dei bevitori, abituali e non. Insomma gli arnesi cognitivi della tecnica sono indispensabili. Ci sono vini, tuttavia, per i quali non sono sufficienti. Sono i vini, quasi sempre, che esprimono personalità peculiari dei produttori, loro percorsi ideali, e colgono particolari predisposizioni culturali, direi intellettuali, di chi beve.
Il Calamaio è una giovane azienda agricola. Alleva vigneti autoctoni e qualche internazionale sulle colline lucchesi affacciate sulla Versilia. Per l’Antenato, come dichiara il nome, vengono vinificate antiche uve locali poco note (bersaglina, mazzese, colorina, buonamico) raccolte dai tralci di viti cinquantenarie. Senza dubbio anzianità e tipicità di vigne e vitigni conferiscono a questo vino la personalità forte che finisce per sedurre
Antenato 2013
Azienda agricola Il calamaio
www.ilcalamaiovini.it