di Antonio Medici
Un luogo amato e bistrattato, un’area naturalistica e una campagna violentata troppo spesso. Questo ė l’entroterra del litorale domizio, a nord della Campania, verso il Lazio, stretto tra il mare e i monti. Il Massico innanzitutto, l’ager falernus, il campo in cui la vite è allevata da tempi remotissimi, giunta dalla Grecia, acquisita dai Romani.
Il Falerno è il vino forse più cantato nelle odi romane, senza dubbio fu il più prestigioso.
Proprio per via della ricorrenza nei testi, un noto latinista, l’insigne professore di diritto romano, Avallone, se ne appassionò. Come racconta, non senza enfasi la figlia Maria Ida, dopo accurate ricerche, contatti con anziani agricoltori della zona massicana, Avallone recuperò vecchi ceppi, avviando coltivazione e produzione negli anni Settanta. Inutile dire che all’epoca si coltivava di tutto, mentre Avallone si concentrò, in virtù delle sue ricerche, su aglianico, piedirosso e cecubo, una varietà tipica partcolarmente i teressante.
L’ager falernus di per sè è un area territoriale molto limitata che pure presenta rilevanti diversità geomorfologiche e ampelografiche. Benché oggi per l’opera minuziosa di tanti piccoli produttori la Doc Falerno goda di notorietà e apprezzamento, permane la criticità legata al disciplinare che consente, raccogliendo le diverse tesi dei produttori, l’impiego, come vitigno prevalente, sia dell’aglianico che del primitivo.
Talora anche gli enologi, poi ci mettono del loro. Villa Matilde, l’azienda vitivinicola ereditata dai fratelli Avallone, che oggi cura, tra l’altro, una tenuta anche in Irpinia, si avvale da sempre dell’opera maestosa di Riccardo Cotarella, enologo di fama internazionale cui molto deve la viticoltura e l’enologia italiana. In questo abbrivio di terzo millennio, tuttavia, la produzione vitivinicola ed il gusto stesso dei bevitori di vino stanno mutando. Alle corposità e morbidezze degli anni Ottanta e Novanta si prediligono schiettezza del vitigno, scorrevolezza e un equlibrio in cui la morbidezza sia più quella ruvida del velluto a coste che non quella piatta del velluto liscio.
I vini “cotarellosi”, quei vini, cioè, che per corpo, impiego del legno e francesismi forzati, spesso contraddistinguono le etichette curate dal famigerato enologo, tendono ad essere un po’ off topic. È per questo probabilmente che non ci ha entusiasmato, nonostante la grande intensità e complessità olfattiva, il Vigna Caracci 2014 Falerno del Massico bianco Dop, da uve falanghina, che forse subisce anche gli esiti di un’annata terribile. Stesso refrain per il Falerno del Massico rosso Dop 2011, al ricco spettro olfattivo non fa riscontro una pari sontuosità gusto-olfattiva, con una persistenza appiattita su spezie dolci appena smorzate da una nota finale di marasca.
Esprime, invece, grande vivacità e piacevolezza il Cecubo Igp Roccamonfina 2013, da uve Cecubo, Piedirosso e Aglianico. Con un fine e semplice corredo olfattivo, presenta una bevibilità e un’armonia al palato che lascia entusiasti, stupiti anche da lunghe eco di spezie e sentori minerali, salini quasi marini.
Dalla tenuta di Altavilla Irpina, poi, giunge il Greco Docg 2015, potente di note floreali e fruttate. In boccagrande corpo ed equilibrio e una persistenza in cui si avverte nitida la pietra focaia che domina il territorio da cui questo vino proviene e di cui può dirisi espressione.
Villa Matilde s.s.
Strada Statale Domiziana, 18
Cellole (CE)
www.villamatilde.it