di Giancristiano Desiderio
Cosa resta di Croce? Questa la domanda posta per un confronto tra professori e studiosi nell’aula Valerio Verra dell’università RomaTre per avere l’occasione di discutere il Lessico crociano. Un breviario filosofico-politico per il futuro uscito nella ricorrenza dei centocinquanta anni dalla nascita del grande filosofo grazie ad una bella intuizione di Rosalia Peluso. Ho partecipato alla giornata di studi e ho preso al volo l’occasione rispondendo in modo diretto alla domanda per sua natura retorica. Cosa resta di Croce? L’esempio.
Benedetto Croce è stato un esempio nella vita politica e civile italiana ed europea. Esemplare fu il suo lavoro amministrativo nel ruolo di sub-commissario per le scuole napoletane che ricoprì nel 1900. Giudizioso fu il suo comportamento alla vigilia della Grande guerra – ebbe, nella sostanza, la stessa avveduta prudenza di Giolitti – mentre tanti intellettuali perdevano la testa e inneggiavano ai bagni di sangue; come furono civilmente patriottici, senza fanatismi, il suo pensiero e la sua azione durante gli anni di una guerra che cambiava il mondo. Bisogna ricordare cosa disse proprio Giolitti quando lo vide all’opera come ministro dell’Istruzione nel suo ultimo governo? “Però, quanto buon senso ha questo filosofo”: unico complimento di cui Croce andò sempre fiero. E si capisce bene il perché viste le magre figure che fanno i cosiddetti intellettuali e tecnici ogni volta che mettono mano alle cose pratiche e agli affari di Stato. Esemplare, poi, fu la sua scelta di passare all’opposizione del governo Mussolini quando il duce divenne duce e trasformò un esecutivo di emergenza nazionale in un regime dittatoriale: l’antifascismo di Croce è figlio diretto della sua filosofia che ha come senso proprio quello di far risaltare la libertà, la dignità e direi la decenza della vita civile e lavorativa. Gentile portò la filosofia al potere, Croce la condusse all’opposizione che, in fondo, è l’unico luogo naturale in cui il pensiero può albergare e sentirsi a casa. Ed esemplare è la vita lottante di Croce “quando l’Italia era tagliata in due”: qui l’uomo di pensiero si fece per davvero uomo di azione e il suo contributo fu decisivo nel garantire la continuità dello Stato nazionale che, ancora una volta, dopo il dramma di Caporetto, era messa in pericolo e maggiormente in pericolo rispetto al passato. Ma se l’antifascismo di Croce si fermò caduto il fascismo, non venne meno il carattere anti-totalitario della sua filosofia. In due parole: Croce fu tanto antifascista quanto anticomunista. Vitaliano Brancati, mentre tanti fascisti e antifascisti diventavano comunisti, disse che non era proprio il caso di sbagliare una seconda volta. Croce non sbagliò né la prima, né la seconda volta. In questo senso non solo è un esempio, ma un patrimonio nazionale.
Si può dire, senza timore di smentita, che fu l’unico italiano che non solo teorizzò la libertà ma la praticò anche e, caduto il regime mussoliniano, non pensò neanche per un attimo a piegare la testa davanti al rischio del nuovo regime illiberale e mettere la libertà di pensiero al servizio della Chiesa comunista di Togliatti. E il suo discorso del luglio del 1947 sul Trattato di pace ha il valore della profezia quando ricorda a tutti che gli italiani hanno perso tutti una guerra e come non ci sono popoli superiori e popoli inferiori allo stesso modo non ci sono italiani di serie A e italiani di serie B. Invece, i fondatori della Prima repubblica, avendo diviso italiani e nazione su questo punto cruciale, si affrettavano a costruire la democrazia sulla morte della patria con il risultato di avere una gracile vita civile contrassegnata dall’ideologismo e dalla guerra civile culturale sempre attiva.
Tuttavia, l’esempio di Croce non riguarda solo la politica. Esemplare è stato Croce nella critica letteraria che, in fondo, è una sua invenzione, come la storia della filosofia fu una invenzione di Hegel. Esemplare è stata la stessa vita del filosofo, la sua etica del lavoro e, ancor meglio, la sua giornata di lavoro fino alla fine ossia fino alla morte che non ci può trovare in “ozio stupido”, sempre che la Vitalità, dalla quale tutti dipendiamo, ci conceda di continuare a lottare fino alla fine e ci faccia la grazia di evitare un “ozio forzato” dalla malattia. Il cuore del pensiero di Croce è proprio qui: nell’essere una continua risposta allo stimolo, alle sofferenze, agli ostacoli, ai bisogni, ai morsi dell’elemento vitale. Da subito, fin dalla notte di Casamicciola, quando fu sepolto sotto le macerie del “tremuoto” per una notte sotto un cielo di stelle che da sempre brillano con indifferenza sulle sciagure umane. La filosofia di Croce è semplicemente radicata nella vitalità, nella storia, nella vita civile. Qui c’è la sua origine. E qui bisogna ritornare ogni volta per intenderla. Il caso Croce è prima di tutto civile e solo poi speculativo. Ha una data di nascita precisa: quando l’Italia perde la libertà e il filosofo non può fare altro che opporsi. Lo deve fare per due motivi: per dovere civile e per salvare la stessa filosofia ossia la possibilità di giudizio. Pensiero e azione si danno la mano ma in modo diverso e opposto rispetto al modo in cui Gentile intese il rapporto attuale tra pensiero e azione. Detto in due parole: in Croce il pensiero non serve a potenziare il potere ma a limitarlo (anche e soprattutto il potere del pensiero tracotante). Gentile, giustamente in linea con ciò che pensava o cercava di pensare, vide eguaglianza tra fascismo e liberalismo; invece, Croce in linea con se stesso e il suo pensiero – e in dissenso con il suo amico diventato nemico – vide da subito tra fascismo e liberalismo opposizione. Non è un caso che Gentile inventò la parola totalitarismo, mentre la verità come storia del pensiero di Croce fa della sua filosofia una sistema di disinnesco dell’ordigno concentrazionario che nasce dall’incontro snaturato tra pensiero e azione: un metodo di neutralizzazione che è una fondazione del pluralismo che, per forza di cose, fu al tempo di Croce in controtendenza e quindi in lotta con la stessa storia del Novecento.
Il problema speculativo in Croce è in funzione del suo scopo: pensare per vivere liberamente. La filosofia per Croce ha un potere liberatorio nel senso che riconosce la vita libera. Con Croce la filosofia giunge a compimento, ma non nel senso che Croce la completa ma nella più semplice constatazione che nella filosofia di Croce si pone ancora una volta il momento del concetto o della “logica della filosofia” e quindi la possibilità del giudizio. Lo dico con un paragone: da Parmenide a Platone, da Hegel a Croce. Se concepiamo l’essere come Uno allora possiamo dire solo uno e non possiamo giudicare. Se concepiamo l’essere come Molti allora possiamo dire ciò che ci pare e ognuno ha il proprio naso, come diceva Nietzsche. Se invece concepiamo l’essere come Uno-molti allora possiamo esercitare l’attività distinguente del pensiero ed esprimerci con i giudizi. La filosofia di Croce è proprio un sistema di giudizi: estetico, storico, logistico, politico, giuridico. Cambiando il contenuto cambia il predicato e la predicazione dei fatti accaduti è un continuo esercizio critico in cui la vita teoretica lavora il concetto dopo che la vita ha lavorato se stessa. Come si può capire il pensiero crociano è impiantato nella vita, nella vitalità, nella storia, nella lotta che noi stessi siamo perché siamo sempre impegnati nella pratica dell’esistenza. Ecco perché il pensiero di Croce è antidogmatico, anti-ideologico, anti-accademico. Là dove non c’è vita e lotta manca il fatto da pensare.
Ma un pensiero lottante e oppositivo di questo tipo è, appunto, per sua intima vocazione anti-totalitario. Il grande contributo di Croce alla storia del pensiero e, direi, alla storia della verità è proprio nel mostrare la impossibilità di mettere insieme verità e potere che vanno sempre distinti e tenuti in tensione. Quella che chiamiamo dialettica è la relazione della vita umana con se stessa in cui il pensiero è in rapporto all’altro. La filosofia di Croce è una sorta di difesa dell’alterità che caratterizza la nostra vita che ambisce a creare se stessa in libertà. Alla fine della Seconda guerra mondiale, quando il secondo totalitarismo si fece avanti, Croce fu più scandaloso di quanto non lo fu sotto il fascismo. Non a caso Togliatti lo accusò nientemeno di collaborazionismo e il fatto – tutt’altro che secondario – che le accuse del capo dei comunisti, che sedeva con Croce al governo, vennero da un confidente dell’Ovra passato con il Pci ci fa capire ancor più il valore anti-totalitario dell’opera di Croce in lotta con tutti i sistemi di potere che ambiscono non solo a essere potenti ma lo vogliono fare attraverso la legittimazione e il crisma della stessa verità. Il male nel Novecento ha ambito alla santità. La tragedia del Novecento è qui e Croce vi si oppose con consapevolezza ben sapendo che non è la verità a farci liberi ma è la libertà a farci veri.
Nella giornata di studio all’università RomaTre questa qualità del pensiero di Croce a tratti e come per enigma è venuta fuori. Ci si è chiesti il perché di un lavoro come il Lessico e si è dubitato del valore filosofico-politico che, invece, dovrebbe risaltare nel carattere pluralistico del pensiero di Croce. Il maggior merito del lavoro di Rosalia Peluso è proprio qui: non solo nell’aver messo insieme tante teste per tante voci e mostrare così la complessità dell’opera di Croce, ma anche e soprattutto nell’aver creato la possibilità di prendere atto dell’essenza anti-totalitaria della filosofia di Croce che ci serve, in fondo, per vivere e pensare liberamente. E’ quanto ho provato a fare con la biografia Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce in cui per essere fedele al filosofo ho dovuto disubbidirgli per mettere la sua opera in rapporto con la sua vita – e con le mie stesse sofferenze e le mie esigenze vitali – e vederla sorgere dal superamento continuo di angosce e ostacoli sempre ritornanti e attivi come le onde del mare che ci sostiene e sommerge. Per chi la sappia così intendere, l’opera di Croce è nella sua intima natura un’ “opera vitale” ed esemplare.