di Rosalia Peluso
La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo il nuovo libro di Giancristiano Desiderio Lo scandalo Croce. Quel vizio insopportabile della libertà (Liberilibri, Macerata, 2016, pp. 1-104) è che tutti i “crociani” o semplicemente gli “intenditori” di Croce, coloro che hanno “gusto” per Croce, come lo si può avere per le cose di valore, sono grandi “peccatori”. Ma quei peccatori che un’occasione favorevole può mutare in grandi “santi”. Parlo di persone che avvertono il bisogno profondissimo di serietà e dirittura, ma sono geneticamente inappagate dal rigorismo morale e trovano più interessante la vita: vi si buttano a capofitto, spesso la subiscono, commettono molti errori, i “peccati” della mentalità comune, li riconoscono, si rimettono in discussione e riprendono o ricreano le loro opere. Come diceva il vecchio Hegel al giovane Francesco Sanseverino, nell’immaginario dialogo scritto da Croce nel vortice di un affascinante gioco di specchi, fatto di riflessione e autoriflessione: «Avete peccato: bene, non ci pensate troppo e redimetevi nel lavoro». Ma “peccatori” sono anche coloro che, nell’esercizio della libertà, spesso sono “scandalosi” e in questo destino ripetono, nel corso delle loro piccole giornate, il senso di quella grande e inesausta giornata di lavoro che è stata la vita di Benedetto Croce.
Desiderio è stato autore negli ultimi anni di una pentalogia di studi crociani, inaugurata dal Croce abruzzese e dal Croce sannita, che però qui mi limito a citare in questo inciso. Mi soffermerò invece sulla trilogia che si chiude quest’anno con Lo scandalo Croce, e che è cominciata nel 2014, con la fortunata biografia Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce (Liberilibri, Macerata, pp. 1-467), vincitrice, tra l’altro, del Premio Acqui Storia nell’anno dell’uscita, e scritta, come suggerisce la dedica, anche in forma autobiografica more crociano. Diceva Nietzsche: c’è un unico modo per scrivere una biografia e la formula non è “Tal dei Tali e il suo tempo” quanto piuttosto “Un lottatore contro il suo tempo”. Se ripercorriamo all’ingrosso la cosiddetta “storia degli effetti” del crocianesimo la tentazione di ricondurre Croce alla razza degli “inattuali” di marca nietzschiana è forte, e questo per due ordini di ragioni. La prima è che l’immagine olimpica di Croce consegnataci da una certa apologetica crociana e da un’opinione fin troppo comune, che ancora lo considera un pensatore per anime belle e vergini, è ormai insostenibile: da questo punto di vista egli è stato un “lottatore”, in termini che la biografia di Desiderio rende molto bene, presentando il ritratto di un uomo passato quasi faustianamente attraverso tutti i ritmi della vita e spinto verso la filosofia non da un bisogno di consolazione (“la vita si consola con la vita”, non col pensiero, ricorda il nostro autore) ma dalla ricerca di un senso, quel Senso, che per Croce è l’esser parte della vita universale, della storia di tutta l’umanità, e che forse è l’unica ricompensa per il dolore conosciuto e ricevuto nella storia. Il filosofo non ha il diritto di soffrire di più, si legge in una bellissima pagina della Logica, al massimo possiede quello di soffrire più in alto, cioè di vedere anche il suo dolore individuale in una prospettiva più ampia nella quale i patimenti dell’Io o si stemperano o trovano ragione. In secondo luogo Croce è stato entrambe le cose: “il suo tempo” – come ci ha ricordato già anni fa Giuseppe Galasso – ma anche “contro il suo tempo”, per motivi che vanno dalla sua opposizione al regime fascista a controversi giudizi su alcune manifestazioni dell’arte e della letteratura del Novecento. Ora, questo essere anche “contro il suo tempo” ha fatto di Croce un “imboscato della storia” (secondo lo sprezzante giudizio di Mussolini) e per altri un arretrato custode di una civiltà classica e liberale ormai decaduta. Anacronismi e avvenirismi sono però, a mio giudizio, due categorie che animano il pensiero dialettico crociano e che dovrebbero essere centrali nei nuovi approcci a Croce, che trovano nella biografia di Desiderio un imprescindibile punto di partenza.
La Vita intellettuale e affettiva è stata seguita nel 2015 da La verità, forse. Piccola enciclopedia del sapere filosofico dai Greci allo storicismo (Liberilibri, Macerata, pp. 1-263), dove Desiderio difende energicamente la determinazione storica della verità – tra le principali eredità concettuali crociane – mai disgiunta da uno spregiudicato uso della libertà: spregiudicato non perché libertinaggio ma in quanto esercizio rimesso completamente nelle mani dell’individuo, e quindi ai suoi doveri e alle sue responsabilità nei confronti del mondo, che valgono più di quello che si “deve” a se stessi (ammesso, ed escluso da Croce, che esista un “dovere verso se stessi”). Verità e libertà, dunque, è forse la diade ideale che sorregge i confronti di Desiderio con Croce e che si trova perfettamente esemplificata nel rovesciamento del detto evangelico, “la verità vi renderà liberi”, trasformato nel laico e civile principio «la libertà vi farà veri». Credo che questo sia il più prezioso compendio di un importante contributo alla “storia della verità”.
Nell’ultimo volumetto pubblicato la scorsa estate, Desiderio raccoglie le tre “voci” composte per il Lessico crociano. Un breviario filosofico-politico per il futuro, da me diretto e edito di recente da La scuola di Pitagora di Napoli: Borghesia, Opera e la fondamentale Vitalità, che viene a chiudere il volume da me curato per ragioni di ordine alfabetico ma a riaprire contestualmente gli studi crociani, proprio a partire da quella che può essere considerata l’ultima parola di Croce e il suo più difficile, per gli interpreti, lascito testamentario. Perché Croce ci consegna questo: l’invito a ripensare la vita, incessantemente, e quindi a sperimentare la sua storicità, che è sempre sinonimo di dramma, lotta, conflitto e spesso cedimenti alla barbarie che è in noi, prima ancora che fuori di noi. Ripensare la vita si può solo dopo averla vissuta e proprio perché la si è vissuta. Da qui il richiamo al simbolo cristiano del “peccato” evocato nelle righe di apertura e ricorrente nell’ultimo Croce, tormentato dal problema del “vitale”.
Ai saggi già editi per il Lessico Desiderio ha aggiunto altri due contributi, che arricchiscono ulteriormente la fisionomia del pensatore che viene fuori dalle sue pagine sempre briose e stilisticamente felici. Innanzitutto un’arguta riflessione sulla “pietra d’inciampo” Croce, che chiarisce il senso generale de Lo scandalo. E poi l’identità antitotalitaria di Croce, ovvero il suo essere un pensatore liberale a tutto tondo, capace soprattutto di tornar “utile” – non si disdegni mai questa espressione anche negli studi scientifici – soprattutto nei “tempi di crisi”, quando – diceva la Arendt – tutto sembra andare inesorabilmente a rotoli perché si è smarrito ogni precedente orientamento, sia pratico sia teorico. Un’ultima annotazione sulla collana che ospita Lo scandalo e che si intitola “Oche del Campidoglio”. In Vita intellettuale e affettiva, nel contesto di un confronto tra Croce a la cultura a lui contemporanea, Desiderio riporta la citazione della Metafisica di Robin George Collingwood, citata dallo stesso Croce nella commemorazione dello studioso amico: «Il destino della scienza europea e della civiltà europea è in giuoco. La gravità del pericolo sta specialmente nel fatto che pochi riconoscono che esiste un pericolo qualsiasi. Quando Roma fu in pericolo, lo schiamazzo delle oche sacre salvò il Campidoglio. Io sono un’oca professorale, con toga e berretto e nutrita alla tavola del collegio; ma schiamazzare è il mio compito, ed io schiamazzerò». Alla domanda “che fare?” quando si ha la ventura di vivere “tempi interessanti” – e quelli di Croce sono stati particolarmente “interessanti”: per questo giudizi moralistici sul suo operato lasciano il tempo che trovano – la risposta potrebbe essere una sola: starnazzare come oche, pur di mantenere in vita il senso della libertà. E quanti oggi, oche professorali o meno, hanno a cuore la libertà, in Croce, presto o tardi, finiranno per “inciampare”. E con lui, come lui, un giorno, prenderanno sul serio il dovere morale di schiamazzare.
(L’articolo di Rosalia Peluso è uscito in una versione leggermente “tagliata” sulla rivista di Fabio Andriola “Storia in rete”. Qui lo pubblichiamo nella sua versione integrale per gentile concessione dell’autrice)