di Antonio Medici
In questa rubrica, che sin dal titolo denuncia la propria vocazione a rapportarsi al mondo dell’enogastronomia con un approccio bivalente di approfondimento culturale e di ironia, si sono spesso schernite le manie e le mode dei protagonisti, mangioni inclusi, del frivolo e svavillante circus del food&wine.
Dopo due anni e più di facezie è giunto il momento di dare i numeri, non già nel senso della follia, che ci sarebbe più consono, quanto piuttosto in quello serio del rigore – diremmo grigiore – statistico.
La Nielsen , gigante mondiale delle ricerche di mercato, ha diramato lo scorso sette settembre i risultati di due indagini effettuate a livello globale, una focalizzata sulle tendenze e percezioni nei consumi alimentari, l’altra, particolarmente succosa, centrata sulle abitudini di chi si sbafa in ristoranti e locali vari.
Le rilevazioni paiono in parte attestare una certa schizofrenia dello sventurato popolo italico, confermando, ove mai ve ne fosse bisogno, che imbarcarsi nel mondo dell’alimentazione ė un po’ affrontare un’odissea.
Il 67% degli italiani (percentuale più alta in ambito europeo) ė preoccupato degli ingredienti artificiali nel cibo e il 53% si dichiara disponibile a pagare un prezzo più alto per cibi che non contengano ingredienti indesiderati, tra i quali figurano in primis coloranti, conservanti, aromi derivati da additivi estranei ai prodotti stessi. La tendenza, secondo gli analisti Nielsen, è insomma quella ad un ritorno agli elementi base dell’alimentazione (back to basis) e agli alimenti che risultino dalla composizione del minor numero possibile di ingredienti (less is more). L’atteggiamento di maggior attenzione agli aspetti salutistici, poi, andrebbe inquadrato in cinque macro trend: il progressivo aumento dell’età media della popolazione, una crescita dei tassi delle malattie croniche come ipertensione e diabete, le allergie o intolleranze per determinati cibi, l’affermarsi dell’atteggiamento propenso all’auto-diagnosi del proprio stato di salute, la crescita di consumatori informati e connessi.
Tutto questo pare avere un peso solo in ambito casalingo (chissà che la pubblicità di quel candido mulino non abbia fatto da catalizzatore).
Quando si parla di pasti fuori casa, però, la musica cambia e scende in campo un altro italiano, più cialtrone e beone. Solo il 37% della popolazione ė disposto a sacrificare il gusto per un cibo più salutare, ma soprattutto il 64% sceglie dove infilare le gambe sotto il tavolo in base alla ragionevolezza del prezzo. La qualità del cibo somministrato, invece, è prioritaria nella scelta solo per il 35% degli italiani.
Insomma, pare sia diffuso un atteggiamento del tipo: stasera avveleniamoci pure, purché si paghi poco.
Va osservato, senza voler sminuire il lavoro accurato ed approfondito della Nielsen, che un po’ lo sospettavamo, essendo costretti sistematicamente a schivare indicazioni su quel ristorante “dove si mangia ottimo pesce e si paga poco” o su quella pizzeria che serve una strepitosa “margherita con bufala a 3 euro” o ancora quel posto recondito, misconosciuto ed eccezionale dove il menù completo con servizio a tavolo è proposto a 10 euro.
Scorrendo i dati e i grafici della ricerca Nielsen, torna in mente il fighetto che al supermercato ha il carrello pieno di bacche di goji, barrette di frutta secca, latte di soia, pasta integrale bio, farina di poriponzipò che impasterà con lievito madre per fare il pane in casa, nettari di frutta paroponzipà, mix insalatine bioporipò, tutto in microporzioni, beninteso. Ė lo stesso che la sera prima si è fatto vedere al locale cool dove servono a 7 euro la tagliata di marchigiana, frollata 280 anni, con rucola e parmigiano.
Sovvertendo l’antico adagio “santo fuori, diavolo in casa”, si può affermare che per l’alimentazione l’italiano è santo in casa e diavolo fuori.