di Giancristiano Desiderio
Il disagio del Sannio o, meglio, dei sindaci sanniti rispetto ai migranti ha una radice storica prima che una motivazione sociale. Il Sannio è sempre stato terra di emigranti – verso l’Europa del nord e le Americhe – e ora, per la prima volta nella sua storia nazionale, è diventato destinazione per immigrati provenienti dall’Africa e dal Medioriente. Il capovolgimento è così netto che nei piccoli paesi come Castelvenere e Campoli, che ospitano 150 e 131 extracomunitari, non può non creare spaesamento a cui i sindaci, spiazzati dall’emergenza, si acconciano a dar voce. Ma non saranno le proteste, anche quando risultano fondate, a risolvere il problema.
Il Sannio ospita circa tremila immigrati tra profughi, emigranti, orfani e disperati. Non è un piccolo numero che, però, diventa più alto per la cattiva distribuzione. Su una ottantina di comuni solo venticinque accolgono extracomunitari e tra questi sono solo dieci i paesi che accolgono più di cento immigrati. La concentrazione in piccoli comuni genera disagio e malumori, mentre una migliore distribuzione sul territorio sannita avrebbe l’effetto di stemperare tensioni e arginare malesseri. Sembra questa la chiave giusta per affrontare la questione immigrati che, purtroppo, è gestita in tutt’altro modo e costantemente sull’onda dell’emergenza.
I sindaci, riuniti in assemblea nella morente Provincia, hanno evidenziato il problema senza scivolare in posizioni razziste tanto incivili quanto inutili. Il modo in cui gli immigrati sono distribuiti e allocati è ormai noto: in prefettura sono accreditate delle cooperative private che nottetempo sono allertate per un imminente sbarco di nuovi immigrati e così devono essere pronte a sistemarli in edifici o case reperite sul territorio e comunque in ambienti idonei o passabili. Il meccanismo è fin troppo collaudato: la prefettura, che riceve la patata bollente dal ministero degli Interni, la passa alle cooperative che di fatto risolvono il problema e inevitabilmente lo scaricano parzialmente sulle comunità paesane. In questo modo il Sannio in poco tempo è diventato extracomunitario. Ma c’è anche un altro motivo.
La prefettura, in fondo, altro non può fare e fa di necessità virtù. Se avesse a sua disposizione un ventaglio più ampio di offerte e soluzioni, la prefettura potrebbe meglio distribuire gli immigrati nei paesi sanniti. Ma qui scatta l’altra dimensione extracomunitaria del Sannio che crede sempre di essere un mondo a parte non raggiungibile e non toccabile dal resto del mondo che, invece, non tarda a far valere i suoi diritti, fossero anche errori e peccati, e a prendersi la sua parte anche quando è un mondo a parte. Detto in due parole: i sindaci non possono più pensare che l’immigrazione non li riguardi e se vogliono ben amministrare i comuni devono prevenire il problema per evitare di subirlo. Antonio Calzone, sindaco di Reino, ha detto che la questione degli immigrati è molto simile a quella dei rifiuti “quando consegnammo il territorio alla camorra per farne una discarica”. Lasciando da parte rifiuti e camorra, il rischio è reale ma per evitarlo c’è bisogno di buoni atti amministrativi e non di chiusure preconcette. Il Sannio non può essere extracomunitario né per l’invasione di immigrati né perché crede di essere un mondo intoccabile dai problemi del mondo. La soluzione è nella buona amministrazione locale. Il tempo in cui amministrare e far politica significava solo spendere soldi è finito.