di Giancristiano Desiderio
A Roma le uniche Olimpiadi possibili sono quelle dei topi. I sorci – come li chiamano i romani – sono animali dotati di uno spiccato senso dell’organizzazione. Trilussa l’ha detto una volta per tutte nella favola intitolata Er sorcio de città e er sorcio de campagna. “Un Sorcio ricco de la capitale – recita il Poeta – invitò a pranzo un Sorcio de campagna”. E allora, cosa accadde? Accadde, per farla breve mo ve lo dico in italiano, che il topo ricco di città diceva: “Vedrai che bella casa, vedrai quanto buon cibo. Altro che formaggio di montagna! Soufflé, dolci, gnocchi, timballi cotti al forno, un pranzo da re! Una pacchia!” La sera stessa mentre il topo di campagna girava per la casa, vide che su un lato del soggiorno c’era una trappola. “Collega – chiese – cominciamo male: non ci sarà il pericolo? E l’altro gli rispose: “Niente affatto! Non avere paura, quella trappola è stata posta lì per burla. Capisco che da te in campagna non si sfugge; basta prendere un poco di farina che subito scatta la tagliola, ma qui, se rubi, nessuno ti condanna. Le trappole sono messe per gli sciocchi: dentro ci vanno i topolini poveri, quelli ricchi no”.
Virginia Raggi – sarà il nome, sarà la vocina, sarà il musetto – mi dà l’impressione di essere “er Sorcio de campagna” invitato al pranzo dal “Sorcio ricco de la capitale”. Vuole ripulire Roma dalla monnezza e dai topi e glielo auguriamo ma è più facile che il fanciullo di sant’Agostino svuoti il mare col secchiello. Viene in mente quel che scrisse Domenico Rea al tempo in cui la Mussolini, un’eternità fa, era candidata quale sindaco di Napoli contro quel roditore di Bassolino e c’era come sempre il problema della spazzatura. Al che lo scrittore, che se ne intendeva di plebe e aristocrazia, ripeté quanto indicò Benedetto Croce quale soluzione possibile dell’antica questione: “Saltellare, saltellare”. Nella decadenza della Capitale, però, son talmente tanti i topi ed è talmente tanta la spazzatura che bisognerebbe imparare a fare il salto in lungo o il salto con l’asta. I topi, ormai, sono ovunque. Sanno correre, nuotare, saltare e sono i veri re di Roma.
Una volta saltai in macchina a via del Pellegrino, diramazione di Campo de’ Fiori, e con me zompò in auto anche una grande zoccola che scorrazzai per oltre duecentocinquanta chilometri fino a casa a Sant’Agata dei Goti. Non mi accorsi di nulla ma ogni tanto sentivo un rumore strano e sinistro, un raspare e arrancare e credevo fosse l’automobile, ormai vecchiotta ma sempre pronta alla botta. L’indomani la portai dal meccanico che la perlustrò sopra e sotto e non vi trovò nulla, fatta eccezione per la zoccola che con sorpresa e spavento Ermanno il meccanico rinvenne faccia a faccia con il ghigno della morte arrostita nel carburatore.
Zoccole e pantegane a Roma sono diffuse in periferia – er Sorcio de campagna – ma soprattutto sono concentrate in centro – er Sorcio ricco de la capitale. Praticano a soddisfazione ogni tipo di attività, sport e disciplina. Quando era sindaco il Walter, invece di ripulire la città dalle zozzerie, per fare la caricatura di Parigi e della Senna, s’inventarono sulla sponda sinistra del Tevere una specie di spiaggia di città, con tanto di palafitte, erba sintetica, piscine a un passo da Castel sant’Angelo. Così i romani e i turisti mentre prendevano il sole e si rinfrescavano nella piscina di plastica potevano ammirare i topi che beatamente nuotavano nel Tevere e si leccavano i baffi.
Roma è Topaia e la battaglia dei topi e delle rane, già immaginata da Giacomino di Recanati, è eterna. La Raggi è condannata ad essere Rodipane, il re costituzionale dei topi liberali, che è sempre malconsigliato dal conte Leccafondi che come intellettuale progressista è mosso dalle più belle intenzioni che finiscono dritte e ritte nella bocca delle rane pontificie che di uomini e topi se ne intendono fin dai tempi dell’Arca di Noè.