di Giancristiano Desiderio
Agosto, moglie mia non ti conosco recita il titolo di uno dei libri più noti e divertenti di Achille Campanile. Il mese di Ferragosto è simile a quel verso di Dante in cui Virgilio dice al poeta che cerca la retta via: “Io era tra color che son sospesi”. Si è, un po’ tutti, come in un limbo, né beati, né dannati ma sospesi, appunto. Che cosa si fa? Niente. Anzi, è – come diceva la canzone di Raffaella Carrà – un dolce far niente. Ma così dolce e così niente che può accader di tutto nell’immobilità universale. Il filosofo Lucio Colletti una volta confidò il suo ideale platonico agostano: “La massima realizzazione del mio status vacanziero è la catalessi. Cado in una sorta di Nirvana. Un abbiocco di settimane durante il quale posso fare di tutto. Una volta lessi perfino I miei primi quarant’anni di Marina Ripa di Meana. Leggevo sotto un albero di cachi. Ogni tanto, per simpatia, cadeva un caco”.
Che cosa fare in agosto può diventare un problema sociale. I caduti nel tempo libero son più numerosi dei caduti sul lavoro. La sospensione di agosto, se non si sa stare sotto un caco a leggere qualunque cosa, può essere pericolosa. Un altro filosofo, Nicola Abbagnano, diceva che la frenesia delle vacanze non rilassa ma stressa. Ma, si sa, i filosofi dicono tante stranezze, anzi ovvietà credendo di dir cose acute. Non è necessario aver letto né Heidegger né Marina Ripa di Meana per sapere che le vacanze sono stressanti, talmente stressanti che lo sbattimento e il batticuore non iniziano quando si parte ma quando si comincia a pensare: “Quest’anno dove andiamo in vacanza?”. Non c’è da meravigliarsi se poi si giunge alla saggia conclusione che il miglior posto per le vacanze è non far niente a casa propria. Luciano De Crescenzo è un cultore della materia: “Io d’estate mi chiudo in casa, accendo l’aria condizionata e lavoro. Il condizionatore è la più grande invenzione del Novecento”.
In agosto le città si svuotano e le spiagge si riempiono. Sulla costa tirrenica della Calabria, tra Praia a Mare e Diamante, un tempo c’era tutta Napoli. Mancava solo il Vesuvio, rimasto nella sua splendida solitudine a sorvegliare il Golfo. Un buon motivo per restare in città è che non c’è più traffico. Domenico Rea in un delizioso racconto scopre la bellezza di Napoli che, intasata dalle automobili per tutto l’anno, in agosto è percorribile tutta in dieci minuti da Posillipo a Piazza Garibaldi (naturalmente alle spalle di Garibaldi perché, come è noto, a Napoli tutto sta alle spalle di Garibaldi). A proposito di Rea e delle sue vampate di rossore, una volta Mimmo De Masi, al quale l’estivo dolce far niente ha ispirato il concetto valido tutto l’anno dell’ “ozio creativo”, mi raccontò di un suo incontro con Mimì Rea a Ravello. Lo scrittore, in cerca di ispirazione e di refrigerio nella controra della costiera amalfitana, era seduto ad un tavolino sulla terrazza dell’albergo e guardava i monti che scendono a mare. Aveva davanti a sé un quaderno e scriveva. “Io mi avvicinai e lo salutai – mi diceva De Masi – chiedendogli cosa facesse. Lui mi guardò e mi mostrò le pagine del quaderno che erano tutte riempite dal suo nome: Domenico Rea, Domenico Rea, Domenico Rea. Pagine e pagine con la copia del suo nome”. Era quello il tempo di una crisi creativa del grande scrittore di Spaccanapoli che poco dopo, come un fiore in un deserto, scrisse e pubblicò Ninfa plebea. La sospensione di agosto era finita.