di Giancristiano Desiderio
Mettendo un po’ d’ordine tra carte, giornali e libri mi sono imbattuto, aprendo un testo di storia e critica letteraria – Poeti e scrittori d’Italia -, in un segnalibro che l’associazione Adotta il tuo paese di Morcone dedicò al mio libro La verità, forse in occasione della presentazione nella Chiesa di sant’Onofrio l’ultima giornata di ottobre di un anno fa. Il segnalibro, un cartoncino elegante ed essenziale, riporta a mo’ di aforisma una delle ultime frasi del testo. Dice: “Ci sono idee che non sono idee e ci sono libri che non sono libri. Ci sono idee che sono ossessioni e ci sono libri che le stendono per provare a liberarsene”.
L’ideatrice del segnalibro fu colpita dalla frase che volle, appunto, estrapolare, rendere in autonomo aforisma e diffondere. Il problema della verità – qualcosa di più di un problema: un’ossessione – accomuna l’autore del libro e il lettore che, invitato alla lettura, si orienta mosso già da un suo presentimento, da un’aspettativa che attende di veder confermata o contraddetta. In fondo, la domanda “Che cos’è la verità?” ogni essere pensante se la pone almeno una volta – cento volte, mille volte, un milione di volte – nella vita per poi lasciarla cadere e prendere a fare la persona seria.
Il libro sulla verità ha avuto una sua fortuna che ancora dura e che, per la natura storica e storicista del testo, ancora durerà. Ne ho fatto anche un uso didattico a scuola facendolo adottare e leggere: la risposta è stata positiva ma non prevedibile (e forse positiva perché non prevedibile). Gli esiti non sono stati controllabili e lo spirito – l’intelligenza attiva e curiosa – si è messo a soffiare dove ha voluto disarcionando la mia guida. Uno degli obiettivi dell’insegnante è proprio quello di diventare superfluo suscitando la formazione dell’intelligenza (e non solo dell’intelligenza) crescente. Mi ritorna in mente quanto mi disse Mario Del Treppo quando sostenni con lui, in un’aula deserta, sorda e grigia, l’esame di storia medievale e parlai tra le varie cose di Hannah Arendt e Vita activa: “Lei sarà un professore pericoloso”. Addirittura?! Chi si avventura – è vero – nella lettura della verità qualche pericolo lo corre perché rischia di fare come quel tale che chiamava Pulcinella e si sentiva rispondere da Pulcinella: “Non c’è, è uscito”.
In primavera mi sono arrischiato a portare il problema della verità all’attenzione di centinaia di ragazze e ragazzi che – per chi conosce la gioventù, anche per sentito dire – erano pronti a sbranarmi. Son qui a scriverne e, dunque, le leonesse e i leoni non mi hanno sbranato e, anzi, qualcuno mosso da fame e sete di conoscenza ha chiesto di saperne di più. Un ragazzo a conclusione della lotta si è avvicinato e mi ha ringraziato con queste parole: “Professore, vorrei dirle grazie, lei mi ha aperto la mente”. In quel momento mi è apparso Mario Del Treppo con la sua profezia – “Lei sarà un professore pericoloso” – e mi son detto: “Dio mio, spero di non aver combinato pasticci”. E’ vero che ogni mezzo è buono per suscitare nei giovani leoni la brama di conoscenza ma bisogna pur sapere che la materia che si ha tra le mani – i giovani, non la verità; e figurarsi giovani e verità insieme – è altamente infiammabile. Forse, non è vero quanto dice Sant’Ignazio di Loyola: “Todo modo para buscar la voluntad divina, ogni mezzo per cercare la volontà divina”, anche perché qui in gioco c’è solo la volontà umana – che è già cosa grande e faticosa – mentre la volontà divina è meglio lasciarla nelle mani divine.
Quel segnalibro mi ha dato l’occasione di ritornare ancora una volta sulla mia ossessione per tenerla a bada e metterla in forma. Perché la verità è come i denti da latte che prima o poi devono cadere per far posto ai denti permanenti e a quei denti del giudizio che quando spuntano, gli uomini dovrebbero ormai sapere, a proprie spese, che la verità è solo una delle forme dell’essere o del concetto o della vita ma è quella forma con cui l’essere si lascia dire. In due parole: la verità è un giudizio il cui contenuto è una storia accaduta che da atto si è fatta predicato. L’esistenza umana è una commedia o una tragedia in almeno due atti: il primo atto è l’accadimento, il secondo atto è il riconoscimento. L’idea di avere in mano il riconoscimento – la verità – e usarlo come se fosse la volontà divina è una tentazione demoniaca da cui è bene allontanare la mente e il desiderio se non si vuol perdere il bene maggiore della libertà.