di Giancristiano Desiderio
A casa mia, quando ero ragazzo, c’era l’abitudine di pranzare o con la radio accesa per ascoltare il notiziario o con la televisione per seguire il telegiornale. Le notizie che – me ne sono reso conto con il tempo – maggiormente mi colpivano erano gli attentati in Israele. In modo spontaneo e al contempo educato nutrivo per il popolo ebraico ammirazione perché viveva secondo ragione e secondo libertà nonostante i pericoli, l’odio e la volontà di annientamento che lo perseguitava. Destava in me stupore la coesistenza della vita civile e degli attentati terroristici. Le immagini che ancora ho negli occhi sono gli autobus sventrati e carbonizzati. Poi la conta dei morti con donne, vecchi e bambini. Tuttavia, quel mondo mi appariva lontano. Era lontano. I giornalisti dicevano “medioriente” e io pensavo a qualcosa di lontano, orientale, desertico, quasi assurdo. Ne è passato di tempo. La radio a tavola – una vecchia Brionvega – non c’è più; il mio vecchio è andato via che sono ormai più di dieci anni e anche la televisione non è più quella di una volta. In compenso, però – con tutta l’assurdità di una formula retorica di questo tipo: in compenso – quel mondo che era così lontano è ora tanto vicino, così vicino che gli attentati e il terrore sono sotto casa. Come se il medioriente fosse in occidente. Come se noi fossimo ebrei. Come se io stesso fossi israeliano. Perché, non lo sono, in fondo?
14 luglio 1789 non è una data qualsiasi. Le periodizzazioni storiche, che al di là dello scolasticume hanno il loro valore, ci dicono che con quella data si fa iniziare la storia contemporanea. Si può avere più o meno simpatia per questa o quella storia, ma è un’evidenza che la storia della Rivoluzione francese e gli avvenimenti che le sono legati hanno per noi un significato più vivo e vitale degli accadimenti dell’Antico regime. Sentiamo che dentro quegli eventi scorre il nostro stesso sangue che, senza retorica, significa che corrono i problemi della nostra civiltà. L’attentato terroristico di Nizza, che sembra così simile al gesto di un deficiente che con il suo camion corre tra la folla, non è solo cronaca ma anche e soprattutto “storia contemporanea” perché la pulsione di morte ha messo in conto di uccidere francesi, italiani e – usiamo la parola giusta – europei nell’anniversario della loro nascita. Lo so, può sembrare strano persino a noi stessi che si possano uccidere decine di uomini, donne e bambini per ciò che sono piuttosto che per ciò che hanno, eppure la storia che abbiamo alle spalle – o crediamo di avere alle spalle – ci dice che nel Novecento le guerre spaventose e mondiali sono state prima di tutto guerre di religione e di identità e poi, soltanto poi, anche conflitti materiali.
Abbiamo paura di dirlo, forse perché ci suona strano perfino pensarlo ma la cultura islamica ha dentro di sé una volontà di soppressione della libertà e un sentimento di odio per l’alterità che si trasforma in terrore ogni volta che ha la possibilità di organizzarsi e manifestarsi. L’islam non distingue tra politica e religione, tra spirituale e temporale; l’islam usa il potere spirituale per legittimare ed accrescere il potere temporale. Non si tratta di avere come nemico la religione islamica o di odiare gli islamici ma di essere consapevoli che la cultura islamica ha un serio problema di convivenza con la vita occidentale e il suo – nostro – pluralismo liberale. L’islam educa alla sottomissione, sia le donne – soprattutto le donne – sia gli uomini. La nostra cultura educa alla libertà o, almeno, crediamo che educhi alla libertà. Perché – non voglio nasconderlo a me stesso e ai miei ventincinque lettori – la libertà di cui siamo figli ha bisogno di essere alimentata non solo materialmente ma anche idealmente ma la nostra stessa coscienza della libertà è debole e ha nemici esterni e interni – e questi ultimi sono i più insidiosi come letale fu il cavallo di Troia.
Segnatevela questa data – 14 luglio 2016 – giacché da qui in poi è chiarissimo che nell’obiettivo ci siete voi come europei e non ci si può nascondere dietro la satira spinta di un giornale parigino, dietro le notti musicali e teatrali della gioventù francese, no. Questa volta far finta di niente è un esercizio molto ma molto più spericolato del solito. La stessa Nizza è francese solo per la geografia politica e i confini nazionali, per tutto il resto è italiana ed europea. Questa nostra Europa, che fugge davanti alla sua stessa storia, è come lo Stato di Israele i cui attentati di terrore che subiva colpivano la mia immaginazione di ragazzino. Oggi con quegli attentati non deve più convivere un lontano stato medorientale ma il caro vecchio continente che ha goduto, per un miracolo della storia, di settant’anni di pace.