di Antonio Medici
Da queste colonne spesso l’ironia ha colto l’eccesso di marketing da parte di grandi chef che, invero, grandi lo sono davvero, lasciando in cucina autentiche creazioni divine prima di dedicarsi a rimpinguare fama e conti correnti.
Il “pacchero con lo scorfano” di Pietro Parisi, se non che, impone un momento di ripensamento su tutta l’ironia precedente e una riflessione, probabilmente scontata oltre che autocritica, su come ben più riprorevole e da schernire sia la comunicazione usata e abusata per nascondere debolezze. Più che a un pacchero di mare, dunque, si pensi ad un pacchero del contrappasso.
Si avverte istantaneo un disorientamento quando appare il pesce abbandonato sfatto e intero nel piatto con la pasta, con tanto di lisca, testa, coda spezzata e addirittura branchie. Forse da una trentina d’anni non si vedeva un piatto così. Il servizio, scadente, manco usa la premura di portare la giusta posata per nettare il pesce e un piatto per gli scarti, sicché non si sa bene cosa fare e da dove cominciare per provare a trarre da quell’ammasso un po’ di bianca carne spinata da gustare con i paccheri, che, invero, fremono nelle mani più che nel piatto. Sul fondo un fango insapore – non è possibile usare la parola fumetto senza rischiare di far infumare chi a casa o in cucine professionali spende ore per allestire un fondo di pesce saporito.
Così mal si pone l’autoproclamato cuoco contadino, patron del ristorante Era Ora, iper presente sui socialnetwork, icona dello chef che valorizzerebbe le produzioni preziose di anonimi contadini.
Il “vesuvio con crema di ceci e baccalà” è una pasta con una colla di crema ceci e selezionati pezzetti di baccalà impanati e fritti. Piatto squilibrato per sapidità ed intensità.
Lo squilibrio, del resto, pare la cifra del luogo: squilibrio tra narrazione e preparazioni, tra numerosità del personale di sala e livello del servizio.
In tavola due menù ma nessuno sa quale sia quello giusto. Solo il bravo maitre giunge infine a dissipare il dubbio ma non la polvere che giace sulle bottiglie di distillati in brutta mostra sulle mensole alle pareti o sulle riviste e i libri disposti in pila nei pressi della cassa.
Opaco il bicchiere del vino, su richiesta sostituito con uno diverso, per foggia e capienza, da quello dei commensali che pure non hanno avuto la faccia tosta di segnalare la sconveniente patina calcarea bianca.
Il tortino di patate e polpo è riscaldato male e le patate, che sono, dicono i cartelli esposti alle pareti della cupa sala ristorante, quelle coltivate da zi Rodolfo, ma restano impregnate di olio e piuttosto sgradevoli ad accompagnare un polpo scolorito e senza sapore.
La patina aggrinzita di grasso sui medaglioni di vitello in salsa tonnata denuncia un pessimo trattamento e rinvenimento della carne. Pezzo di secondo o terzo taglio, tagli contro i quali nulla si ha in contrario se dichiarati onestamente e serviti in cotture e preparazioni idonee, semitiepido con purea di patate, invece, bollente. Nessuna traccia aromatica di salsa tonné.
Della semplicità e naturalità del mondo contadino, che il costante richiamo verbale ed iconico di Pietro Parisi intende evocare, non resta nulla; l’enfasi comunicativa contribuisce, piuttosto, ad alimentare il rammarico per il lavoro maltrattato di quegli anonimi contadini le cui cucine, di certo empie di ritualità semplici e sapori autentici, si finisce col rimpiangere.
A ben vedere ciò che maggiormente esce penalizzata dalla cucina di Era Ora è la pretesa di voler attribuire una dignità ed un pregio all’impiego di microproduzioni di contadini misconosciuti. La cucina si fa ai fornelli e non con le foto suggestive appese ai muri.
Sala ristorante costretta fastidiosamente tra due sale pizzeria, carta dei vini banale ed inaffidabile – bisogna attendere il responso di disponibilità per ogni richiesta – conto sui 30 euro, vini esclusi.
Cena del diciotto giugno duemilasedici (magari una serata storta).
Era Ora
Via Trieste, 147 – Palma Campania (NA)
339 85 87 591
www.pietroparisi.it