di Giancristiano Desiderio
Mentre a Napoli il Corriere del Mezzogiorno e il Corriere della Sera aprono i Girolamini e salvano i libri, nel Sannio il segretario provinciale del Pd vuole chiudere la Biblioteca Michele Melenzio nella splendida Sant’Agata dei Goti. Perché? Perché parlo, scrivo, critico. La storia che sto per raccontare è incredibile ma i venticinque lettori di manzoniana memoria che mi seguono possono fidarsi perché esporrò fatti e solo fatti.
Dunque, dieci anni fa, credendo nel valore dei denti del drago — come Milton chiamava i libri — fondai la Biblioteca Melenzio ricorrendo a un mio patrimonio librario e alla disponibilità del Comune che concesse in comodato d’uso le stanze di Palazzo Mosera. Il tempo ha dato ragione alla mia follia: oggi la Biblioteca Melenzio è riconosciuta dalla Regione Campania, è nel sistema delle biblioteche nazionali, conta circa 15 mila volumi, è frequentata da ricercatori e studiosi, pubblica testi di storia del Mezzogiorno, accoglie bambini per la lettura delle favole, organizza seminari di filosofia e cultura politica. Chi, però, dirige la Biblioteca — io e il mio amico Claudio Lubrano con un gruppo di giovani e volontari — non va giù all’amministrazione comunale che ci fa la guerra. La parola guerra non è grossa.
Il 12 aprile ero in Biblioteca e mi accingevo a iniziare il seminario «Verità e Potere nel Novecento» quando si sono presentati due agenti della polizia municipale per un’ispezione, tanto irrituale quanto arbitraria. Mi hanno chiesto cosa facessi — e ho detto loro che parlavo di storia e filosofia a studenti e docenti —, hanno visionato gli elenchi degli iscritti ai seminari, hanno steso un verbale ispettivo annotando, tra l’altro, che non si vendevano panini e bibite. Ridete? Vi prego di non ridere perché a me, tale era l’amarezza, veniva quasi da piangere. Passa qualche giorno e la giunta comunale — il sindaco è anche segretario provinciale del Pd — delibera la revoca della concessione dei locali. Con quale motivo? Nessuno. Puro atto podestarile. Questa arroganza organizzata è solo l’ultima scena di una serie di atti che hanno soppresso le manifestazioni culturali non controllate dall’amministrazione «progressista» che è al Comune: divieto di satira, divieto di correre e ora divieto di leggere.
Sui fatti della Biblioteca Melenzio in molti mi sostengono: è in corso una petizione popolare che in due giorni ha raccolto oltre 1.000 firme; uomini politici e intellettuali di destra e sinistra — Pasquale Viespoli, Amerigo Ciervo, Gennaro Malgieri, Billy Nuzzolillo, Luigi Ruscello, Nicola Sguera, Andrea Massaro, Raffaele Tibaldi — mi hanno espresso vicinanza e si sono appellati al sindaco invitandolo a rivedere l’ingiusta delibera di revoca; c’è un’interrogazione parlamentare presentata dal deputato Nunzia De Girolamo e un intervento di Clemente Mastella. Ma questa civile azione di difesa basterà a salvare l’opera della Biblioteca Melenzio?
Il cittadino che è attaccato dal delinquente si rivolge al potere costituito. Ma quando ad attaccare è il potere costituito, il cittadino a chi si può rivolgere? È il tormento che mi porto dentro perché tocco con mano che un valido sodalizio culturale creato per il progresso del Mezzogiorno è osteggiato fino al limite della distruzione dalle stesse istituzioni che dovrebbero garantirne la libertà civile. Dunque, a chi mi devo rivolgere? Il Corriere della Sera che salva i libri e che fu fondato 140 fa da un napoletano come Eugenio Torelli Viollier fa la sua parte ma non basta. Anche le istituzioni regionali e statali devono far valere le ragioni della libertà della cultura. La Biblioteca Melenzio, come detto, è riconosciuta dalla Regione perciò mi rivolgo a Sebastiano Maffettone che in Regione lavora sulla cultura e al presidente Vincenzo De Luca affinché vengano in Biblioteca a vedere di cosa parlo — ma possono anche farsi un’idea qui: bibliotecamelenzio.it — e invito anche il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini a visitare la Biblioteca e Sant’Agata dei Goti come fece il giovane Benedetto Croce. Salvare un’istituzione culturale da un sopruso politico è un loro dovere.
(tratto dal Corriere del Mezzogiorno)