di Giancristiano Desiderio
Lo amavo, così e semplicemente. E continuo ad amarlo, perché non basta morire per non essere più amati. Ma è morto? Johan Cruijff si è guadagnato, come un eroe antico, l’immortalità sui campi di calcio. La sua bellezza e la sua grazia mi conquistarono da ragazzino. Fu mio padre a portarmi al cinema – scopro ora che c’era anche un amico del tempo andato: Gianni Morici – e vedemmo Il profeta del gol che Sandro Ciotti girò come un moderno documentario che poi tanta fortuna avrebbe avuto in televisione con il programma Sfide. Io, con mio padre accanto che mi mostrava un giocatore che ammirava, mi sentivo in campo insieme con quei dei arancioni che si chiamavano Krol, Haan, Neeskens, Rep che portarono nel calcio e nella vita una gioia e una grandezza che sentivi nelle vene e che, forse, non è più riapparsa sui campi di calcio. Gianni Brera lo ribattezzò “il Pelè bianco” ma i nomi che gli furono appioppati furono davvero tanti: re Giovanni, Giovanni il Grande, il profeta del gol, l’olandese volante. Un nome per ogni ruolo. Perché la rivoluzione del calcio totale olandese, teorizzato da Michels e Kovacs e praticato dall’Ajax, consisteva proprio in questa generosa e folle utopia: ogni giocatore deve saper fare tutto e deve poter giocare in ogni parte del campo. Una specie di “caos organizzato” che non è vero né in teoria né in pratica giacché la figura del Giocatore Totale è una contraddizione in termini che proprio il gioco del calcio smonta sul nascere. Ma tutto ciò ora non conta. Perché dalla unica rivoluzione arancione realmente riuscita è nato il calcio moderno fatto di pressing, squadra corta, fuorigioco. Inventarono tutto loro. A volte penso che Cruijff sia per me quanto Hegel fu per Croce: mio amore e mio cruccio.
Cruijff ci ha lasciato anche alcune definizioni del calcio che ci rivelano quanto fosse giocatore con i piedi e con il cuore ma anche con la testa. Diceva: “Il calcio è semplice. Quello che è difficile è giocare con semplicità”. Il che è semplicemente vero. Veder giocare Cruijff significa vedere proprio questa “difficile semplicità” in atto. Gli attribuivano grandezza perché gli riconoscevano velocità. Saltava uno, due, tre avversari con naturalezza come fosse una gazzella in fuga verso il sole. Tuttavia, lui stesso diceva di non essere veloce ma di limitarsi soltanto ad anticipare di mezzo secondo la mossa dell’avversario. Mezzo secondo, così diceva. Quant’è mezzo secondo? Con quel mezzo secondo di anticipo vinse tutto quanto poté vincere ma non il Mondiale, né in Germania, né in Argentina. Anzi, in Argentina non giocò nemmeno. Perché? E’ sempre stato un mistero. Si disse che boicottò il campionato mondiale argentino a causa della dittatura militare. Senz’altro il suo rapporto con la Nazionale olandese fu turbolento. Ma il motivo della sua assenza fu un altro. Lo rivelò lui stesso nell’aprile del 2008 quando a Catalunya Ràdio disse di esser sfuggito alla vigilia del Mondiale a un tentativo di rapimento nella sua casa di Barcellona: “Mi sono ritrovato con un fucile puntato alla testa. Mi hanno legato, assieme a mia moglie, davanti agli occhi dei miei figli. Ci sono momenti nella vita in cui prevalgono altri valori. Per giocare una Coppa del Mondo bisogna essere al duecento per cento”. Preferì lasciare.
L’olandese volante – definizione che poi fu usata anche per Marco van Basten, forse il suo vero erede per bravura ed eleganza – ci ha lasciato la migliore definizione del calcio visto nella sua essenza e nei suoi elementi: “Il calcio è saper ricevere la palla e saper passare la palla”. Se vogliamo dirlo con una formula possiamo dir così: il calcio è controllo e abbandono. Cruijff era un drago nel controllo di palla che padroneggiava non solo da fermo ma anche – e qui è la difficile semplicità – in movimento. Regale è un suo controllo di palla con il tacco a seguire con cui insieme controlla il pallone e supera l’avversario (sempre con quella regola del mezzo secondo). Ma era bravissimo anche nel passare la palla che non calciava ma accarezzava, spesso con l’esterno. Diceva: “Quattro in linea dietro e quattro in linea avanti non va bene perché vengono meno i triangoli”. Vale a dire che non si può passare la palla e dunque non si può giocare. Perché in fondo un grande giocatore, che sa giocare sia con la palla sia senza la palla (come Falcao), sa prima di tutto cosa è il gioco ossia la condizione nella quale si trova. In campo, nella vita. La definizione di Cruijff ci dà non solo il calcio ma anche la vita: controllo e abbandono, ecco tutto ciò che conta. I filosofi sono impazziti per cercare una ridefinizione dell’essere che non si lasci ridurre a razionalità strumentale, ma se avessero visto giocare Cruijff e lo avessero ascoltato avrebbero ottenuto prima il loro scopo e si sarebbero divertiti come bambini che giocano a pallone.