di Giancristiano Desiderio
Il prossimo sindaco di Benevento avrà più problemi che soluzioni. Fausto Pepe gli lascia un’eredità pesante nell’amministrazione, nelle finanze, nei lavori detti pubblici. Tuttavia, se c’è una cosa che il futuro sindaco dovrebbe fare è quella di non giustificare il presente con il passato. Non ci vuole molto: basta rinunciare a giustificazioni e intenzioni per dedicarsi alle azioni. Forse, la promessa di un nuovo stile amministrativo e politico potrebbe essere il patto che i (molti) candidati potrebbero fare con i beneventani. Il patto potrebbe suonare così: “Mi impegno con i beneventani a non romper loro le palle con la storia dell’eredità fallimentare”. Sarebbe già molto. In fondo, che si venga da un disastro lo sappiamo tutti ma ripeterlo non aiuta a uscirne e il sindaco prossimo venturo lo farebbe solo per mettere le mani avanti. Senza considerare poi che nel caso di Raffaele Del Vecchio ci si troverebbe nella situazione tragicomica di giustificare la (eventuale) inanità presente tirando in ballo la (propria) inanità passata.
I candidati sindaco sono molti ma l’offerta politica non è tra le migliori. Tutti – ci mancherebbe – sono rispettabili e rispettati ma tutte le candidature – con l’eccezione della candidata del M5s, le cui liturgie però sembrano far diventare più chiari i misteri eleusini – rispondono più ad aspirazioni personali che a vivi progetti civili. La candidatura dell’attuale vicesindaco è semplicemente la continuazione del potere del Pd. La candidatura di Gianfranco Ucci è il ritorno di una personale esperienza amministrativa. Della Marianna Farese si è detto e si può aggiungere che la sua è la candidatura del vento che tira, mentre la riproposta di Raffaele Tibaldi ha il sapore del dovere civico e la candidatura della giornalista Vittoria Principe – che ha detto che il suo nome è garanzia di vittoria – è quasi un colpo di scena. Le diverse candidature hanno un comune denominatore: non sono espressione di un movimento di idee e di interessi della città che rimane orfana di se stessa. Non è un giudizio negativo ma una anche banale constatazione: come se Benevento avesse esaurito la sua capacità di rappresentarsi o ne avesse più semplicemente smarrito il desiderio o l’illusione. E’ un fatto: la città non esprime una candidatura forte e sentita per rinnovarsi e ricrearsi. E’ qualcosa di più di un fallimento politico.
E poi c’è Mastella (un po’ come Cattelan). Lo si voglia o no, la candidatura di Mastella – si potrebbe dire la “discesa in campo” di Mastella – cambia un bel po’ le carte in tavola (e anche quelle sotto il tavolo) e fa fare un salto di qualità politica alle elezioni e alla cronaca del ballottaggio annunciato tra M5s e Pd. Ho già scritto che Mastella non volle fare il sindaco di Benevento quando avrebbe dovuto e lo vuole fare oggi che non dovrebbe. L’ho sentito non molto tempo fa e mi ha detto che avrebbe provato a candidarsi, altrimenti si sarebbe dedicato felicemente al nobilissimo lavoro di nonno. Personalmente gli auguro di fare il nonno ma, forse, anche Mastella merita una diversa uscita di scena e una vita politica, ormai quarantennale, iniziata proprio a Benevento può anche aspirare a chiudersi a Benevento facendo il sindaco. Il modo in cui ha giocato il primo tempo della partita – la candidatura – fa capire che punta a pareggiare i conti scalzando il Pd per poi giocarsi tutto nei supplementari del ballottaggio. Mastella ha un vantaggio sugli altri: gioca in casa. C’è da scommettere che giocherà al meglio. Che poi sia un buon sindaco, beh, è un altro paio di maniche, ma ha il vantaggio dell’eredità fallimentare di un ex mastelliano votatosi alla causa della sinistra.