di Giancristiano Desiderio
Tracciando un bilancio dei dieci anni di potere della sinistra al comune di Benevento, Umberto Del Basso De Caro ha detto che sono più le ombre che le luci. All’uomo, prim’ancora che al politico, non manca il gusto della battuta ma in questo caso non si sa se scherza o fa sul serio. Prendendolo alla lettera risulterebbe che il sindaco uscente è l’ombra mentre il vicesindaco diventato candidato sindaco del Pd è la luce. In compenso, a Benevento è buio a mezzogiorno.
Se io fossi Raffaele Del Vecchio – al quale faccio gli auguri – non rinnegherei né prenderei le distanze dai dieci anni in compagnia di Fausto Pepe per due ragioni elementari. Il primo motivo è umano: dieci anni insieme è una specie di matrimonio e se ci si lascia non si può dire né non lo conosco né è tutta colpa sua. Il secondo è politico: chi fa il vicesindaco per dieci lunghi anni e dice io non c’ero e se c’ero non c’entro non è credibile e per un candidato sindaco la credibilità è quasi tutto. Per mia fortuna, però, io non sono Raffaele Del Vecchio e non mi trovo nella scomoda posizione di dovermi presentare agli elettori beneventani nelle vesti del candidato sindaco del Pd che critica il fallimento amministrativo del vicesindaco del Pd. Non sono io che sono un criticone, è il Pd che non avendo il coraggio di rivendicare, rinnega (e diventa ridicolo).
La situazione di Benevento – a proposito di luci e di ombre – è edoardiana: ha da passà ‘a nuttata. Non voglio sciogliere il rosario citando il bilancio, le mense scolastiche, le case popolari ma è un dato di fatto che la sinistra lascia il comune di Benevento – ma anche la città – peggio di come lo trovò. I fiori all’occhiello dell’amministrazione Pepe-Del Vecchio sono illusioni ottiche – dalla piattaforma logistica al data center – mentre in tanti anni non si è stati in grado di risolvere un problema urbanistico serio ma pur affrontabile come gli allagamenti di intere aree cittadine. Perfino quello che è il vanto dello stesso vicesindaco, ossia il riconoscimento Unesco per la chiesa e il chiostro di Santa Sofia, è diventato ben presto un boomerang. Fallimenti epocali di questo genere non si liquidano facendo di un ormai ex sindaco un capro espiatorio ma si giustificano chiamando in causa la inutilità di un’intera classe dirigente che ha digerito Benevento mentre alla città la classe digerente è rimasta sullo stomaco.
Come si vede, son cose serie ma lo stile è quello di chi passa dalla retorica alla commedia. Forse, è meglio così. Resta il fatto, però, che a Benevento non ci si viene e da Benevento si va via. Negli ultimi tempi non solo giovani ma famiglie e aziende hanno ripreso la via dell’emigrazione. Benevento si è impoverita non solo economicamente – il che è comprensibile – ma anche umanamente. Le famiglie che hanno figli adolescenti sanno di dover investire con l’obiettivo e la speranza di vederli andar via. La cosiddetta fuga di cervelli inizia in tenera età. Una volta un grande scrittore come Domenico Rea fece un elogio di Benevento arrivando a dire, con un po’ di esagerazione, che era uno degli ultimi luoghi in cui ancora si poteva campare. Oggi il problema beneventano è proprio questo: per campare si va via.