di Giancristiano Desiderio
Goethe amava dire “viva chi vita crea” e davvero ogni buon cristiano deve gioire davanti alla natalità. Tuttavia, se il grande poeta tedesco, capace di amare il sole e Dio, vivesse il nostro tempo forse qualche perplessità l’avrebbe anche lui: non sulla vita creata, ma sul modo di produrla. Ai nostri giorni non è più vero quanto dicevano i latini ossia che il padre è incerto mentre la madre è sempre certa. Non è più così. La mamma oggi può essere surrogata e il bambino – che per noi è la buona novella – invece di una madre ne può avere almeno tre: la “proprietaria” dell’ovulo, la “proprietaria” dell’utero, la “proprietaria” del desiderio. Ma fino a quando la mamma è femmina – un po’ come il film di Monicelli – riusciamo ancora ad orientarci tra le tecniche di fecondazione assistita. Quando invece la madre è maschio subentra il disorientamento perché mutano non solo le categorie mentali con le quali siamo stati abituati a pensare ma anche le figure umane del padre e della madre.
La legge sulle unioni civili e la questione dell’adozione del figlio dell’altro o dell’altra sono da tempo al centro di uno sconsolante dibattito pubblico in cui due tifoserie si affrontano a colpi di scomuniche e insulti. In Italia ogni discussione è trasformata in un’ordalia. Accade perché la legge statale non è concepita come un limite ma come una regola pedagogica con cui modellare le vite altrui. L’idea di fondo, comune alle due culture di massa del Novecento, la cattolica e la comunista, che hanno formato la testa degli italiani nel profondo, è che occorra conquistare lo Stato per imporre il modello sociale e culturale di riferimento. Così quando si toccano i temi della vita affettiva – nei quali le leggi dovrebbero entrare il meno possibile – la legislazione è trasformata dalla politica progressista nel regno della civiltà e chi non vi aderisce è un incivile, mentre la politica cattolica vi vede un assalto alla tradizione e alla famiglia naturale. Nessuna delle due ideologie – perché non è vero che le ideologie sono morte, sono solo mutate – concepisce le leggi come strumenti utili a regolare il meno possibile la vita sociale; anzi, le leggi sono concepite come l’espressione di una morale governativa alla quale si dovrebbero adeguare gli usi, i costumi e le libertà pratiche e di coscienza di uomini e donne. Il risultato, inevitabile – perché la coscienza è libera non solo nello Stato ma anche dallo Stato -, è una perenne guerra di religione che nel nostro tempo si manifesta nel dibattito pubblico peggiore d’Europa.
Avremmo bisogno di valutare i fatti per ciò che sono e di confrontarci sulle idee, la morale e la fede liberamente senza ritenere che lo Stato sia un modo per monopolizzare idee, morale, fede, libertà. Come le unioni civili non mettono a rischio la famiglia naturale, così chi difende la tradizione non è un retrogrado. Il confronto culturale dovrebbe avvenire sul piano della vita morale, che più ampia è meglio è, e non dovrebbe essere concepito come una guerra di religione in cui chi vince trasforma la sua fede in legislazione. Ciò che ci fa difetto non è solo capire che la libertà è altro dallo Stato ma anche voler essere liberi dallo Stato che, invece, è assunto come una sorta di grande totem o uno stregone al quale affidare i nostri desideri da realizzare. Così, purtroppo, i desideri diventano diritti e i diritti diventano desideri. La nostra epoca sembra destinata ad essere quella in cui si può realizzare la dittatura del desiderio. Ogni cosa desiderabile deve essere trasformata in cosa reale. E non è vero che ciò accade perché la tecnica – che con enfasi si scrive con la maiuscola: la Tecnica – offre la possibilità di farlo. E’ vero, piuttosto, che la cultura politica ideologica vede nella potenza tecnica un modo per potenziare se stessa e soggiogare o eliminare la rivale. La cultura, che si fonda sulla distinzione tra desiderio e realtà, è stravolta fino al punto di riformulare il suo canone: tutto ciò che è desiderabile è realizzabile e tutto ciò che è realizzabile è desiderabile. La dittatura del desiderio potrebbe essere la peggiore. Come tutte le dittature, promette il paradiso e spalanca le porte dell’inferno.