di Gennaro Malgieri
Bella pretesa questa di Giancristiano Desiderio: gettarci in pasto più di duecentosessanta pagine di filosofia purissima, distillata con metodo classico e tradizionale, nel tentativo di convincerci che la ricerca della verità – quanto mai necessaria in questi tempi confusi ed incerti – è un percorso soggettivo e quasi sempre il traguardo è insoddisfacente. Eppure, secondo lui, non possiamo fare a meno di perseguire lo scopo. Già, ma come? Il libro non è un manuale di sopravvivenza alla menzogna, tuttavia rassegnarsi, per come l’ho interpretato, ad inseguire l’obiettivo prescindendo da credenze (o fedi) precostituite è un’impresa più che ardua. Ma evidentemente non per l’autore che non a caso ha intitolato il libro La verità, forse (edito da Liberilibri). In questo “forse” è racchiusa l’essenza della tesi di Desiderio al quale va riconosciuto il merito di essersi preso la briga di squadernarci qualche millennio di speculazione attorno all’ardito tema, nella speranza di convincerci che non c’è nessuna conclusione universale sulla “verità”.
Dunque, il soggettivismo non può che essere la chiave che apre la porta ben serrata dietro la quale sta, come prigioniera, la questione. Richiamando in vita i greci e Cartesio, Vico e Kant, Machiavelli ed Hegel, e giù giù per li rami Isaiah Berlin e Benedetto Croce, Desiderio s’inerpica con molto coraggio in un lungo, articolato e colto discorso non sulla teoria oggettiva della verità, ma sulle sue interpretazioni. Sicché alla fine deve “soggettivamente” concludere che per riconoscere e perseguire la verità è necessario che si riconosca e si affermi la libertà quale canone espressivo in riferimento all’agire. Ma verità e libertà vanno davvero sempre d’accordo? Neppure per sogno, dice Desiderio. Al quale non sfugge che spesso “la verità scaccia e nega la libertà, anche quando la verità è mossa dalle migliori intenzioni”.
Torniamo allora al punto di partenza: che cos’è la verità? Da quanto ci è dato di comprendere non è altro che una “chimera”. A meno di non voler credere che esistano degli Arcana a cui conformare i propri comportamenti. Desiderio sembra sfuggire a questa semplificazione e da filosofo scettico qual è – tranne di fronte alla “religione” della libertà sul cui altare sacrificherebbe ogni cosa – conclude, appunto, con un “forse” la sua dotta disputa. Il saggio di Desiderio è un vero e proprio “esercizio di ammirazione”, direbbe Cioran, al quale guardiamo compiaciuti circondati da intellettuali della domenica che ormai vivono in ragione di un presente effimero e neppure lontanamente si pongono di fronte a questioni cruciali. Tuttavia, dato all’autore ciò che è suo, lasciamo il libro con più dubbi di quanti ne avevamo. Ed è – senza “forse” – proprio questo l’obiettivo che Desiderio si prefiggeva.
tratto da il Giorno del 5 febbraio 2016