di Giancristiano Desiderio
La notizia della morte di Alberto Simeone mi ha lasciato un rumore sordo in fondo al cuore. Il ricordo della sua figura e della sua umanità mi è caro. Fu deputato di Alleanza nazionale in due legislature: eletto nel 1994 e riconfermato nel 1996. Mentre non fu ricandidato nel 2001 perché da garantista qual era entrò in conflitto con il suo partito e in particolare con Gianfranco Fini. Tra la convenienza e la legge sulle pene alternative al carcere (legge peraltro ragionevole) non esitò a sacrificare la prima e difendere con rigore la seconda. Davanti alla figura di Alberto Simeone, in questa Italia fanatica e cialtrona dove abbondano le grandi parole ma tutto finisce nei miseri piccoli tornaconti, è bene togliersi il cappello.
Conobbi Alberto Simeone proprio nel corso della sua prima esperienza parlamentare e ne apprezzai il cordiale tratto umano e il rigore professionale che mise al servizio del lavoro di deputato. Quel periodo, per chi lo ricorda, fu ricco di cambiamenti repentini e la destra del Movimento sociale italiano, con sua sorpresa, fu chiamata al governo del Paese dagli stessi eventi che si susseguivano tumultuosamente. La vittoria del centro-destra alle elezioni del 27 marzo 1994 sulla “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto portò alla nascita del primo governo Berlusconi del quale era “ministro dell’Armonia” Pinuccio Tatarella. Gli ex comunisti, ancora sotto le macerie del muro berlinese, non esitarono a rispolverare la loro arma ideologica e propagandistica più forte: l’antifascismo. Il 25 aprile di quell’anno di ventidue anni fa successe di tutto. Quale fu il comportamento di Alberto Simeone? L’avvocato di Castelpoto – il paese beneventano dove nacque nell’ottobre del 1943 – non era né un nostalgico né un carrierista, ma un italiano educato all’insegna del rispetto della storia e del diritto che non nutrì mai odio per l’avversario politico e credeva nella necessità di uno Stato nazionale ricomposto sul valore della libertà il cui aspetto novecentesco è necessariamente l’antitotalitarismo. Certo in questa fede, che alimentava con la sua solida cultura giuridica, Alberto Simeone si fece apprezzare anche dagli avversari per la sua civilissima signorilità e i segni di una ragione confortata da equilibrio e conoscenza storica.
L’idea che Alberto Simeone aveva della politica era esemplarmente laica. Ricordo come se fosse ora un nostro colloquio sulla realtà sociale delle nostre comuni terre e quando saltò fuori il connubio tra politica e religione, partito e curia, lui non esitò a criticare il vescovo che svolgeva con troppa disinvoltura un ruolo politico che il deputato della destra non criticava tanto per l’ingerenza quanto per la mortificazione della missione spirituale. Alberto Simeone divenne in quel tempo una sorta di novità assoluta della politica del Sannio perché la vittoria della destra e la sua figura signorile lo rendevano quasi una sorta di extra-terrestre. Era, insomma, percepito come un estraneo in una terra – la sua terra – che conosceva da un tempo che sembrava semplicemente eterno il dominio della Democrazia cristiana. Mi legai a lui con sincero affetto e gli feci dono – modesto ma pur significativo dono – di alcuni miei articoletti sulla destra e il liberalismo pubblicati sul settimanale beneventano Messaggio d’Oggi guidato all’epoca ancora dal suo fondatore Giuseppe De Lucia.
Scrivo questo breve profilo per rendergli omaggio, ad Alberto Simeone. Noi viviamo in un Paese in cui la fortuna è soltanto postuma. Si è apprezzati non da vivi ma da morti. Non siamo un bel paese. I tanti riconoscimenti che Alberto Simeone ha avuto testimoniano quanto fosse stimato da tutti, anche – e forse soprattutto – da coloro che gli furono avversari ma non nutrirono per lui spirito di inimicizia. Nella storia politica il nome del deputato di Castelpoto rimarrà inevitabilmente legato alla legge che da componente della commissione Giustizia della Camera dei deputati concepì, elaborò e vide approvata da una vasta maggioranza. Le pene alternative al carcere per le condanne inferiori o uguali ai tre anni di reclusione sono un’espressione di civiltà giuridica e – credo – nell’ordinamento italiano e nella stessa situazione carceraria del nostro Paese sono anche una concreta esigenza che non indebolisce la giustizia e semmai la rafforza. Ma ciò che qui conta è che Alberto Simeone quella legge la volle e quando entrò in conflitto con la sua parte non esitò a sacrificare se stesso pur di far prevalere il provvedimento di riforma che riteneva valido e utile per i delitti e le pene. Un delitto fu commesso nei suoi confronti quando fu isolato e condannato ad una sorta di ostracismo, ma a subir le pene fu la stessa destra che non si rese conto che stava condannando un deputato esemplare educato al valore laico del pensiero libero. Un esempio oggi per tutti. Grazie, Alberto.