Il concetto del lavoro presuppone il lavoro del concetto. L’uomo in quanto essere-umano o spirito vivente – se volete in quanto esser-ci o essere-nel-mondo, è tutta la stessa roba – ha bisogno di lavorare non solo per sopravvivere ma anche per vivere. La storia – lo spirito vivente, l’essere-umano – è una lavorazione senza soluzione di continuità della vita che per essere se stessa e per sapersi ha necessità di essere lavorata. La vita non è ma è data e ha bisogno di cura. La lavorazione della vita si attua sia sul piano pratico o dell’azione sia sul piano teoretico o del pensiero. In fondo, la conoscenza storica – o conoscenza e basta – altro non è che la trasposizione sul piano del pensiero degli atti spirituali o storici che diventano predicati del giudizio. Propriamente è questo il lavoro del concetto che, quindi, ha un doppio fondo: una volta è fatto e una volta è pensato. Quanto Hegel diceva della filosofia – è il proprio tempo appreso nel pensiero o dal pensiero – lo si può ripetere pari pari perché la filosofia è per davvero l’estrazione dei fatti/atti dai sotterranei della storia e della vita o, detta in modo semplice ma che ha secoli di avviamenti e sviamenti alle spalle, è il pensiero che ha per suo contenuto la storia.
Gilles Deleuze sosteneva – giustamente e giustamente riprendendo Hegel – che la filosofia ha il suo compito nella creazione dei concetti. Però, bisogna aggiungere che intanto lo può fare in quanto ri-crea sul piano del pensiero la creazione della vita avvenuta sul piano esistenziale e storico. La filosofia è a tutti gli effetti il momento di ricreazione dello spirito. Quanto è stato fatto sul piano reale si fa ri-fare ora sul piano ideale. Il lavoro del concetto è duplice: reale e ideale. Perché il predicato del giudizio – ciò che qualifica il soggetto – è sia factum sia verum e se non fosse l’uno non potrebbe essere l’altro. Lo storicismo di Vico ci insegna la comprensione della nostra esistenza storica. La logica della filosofia, che è una logica del reale, è la formalizzazione della frase “il vero è nel fatto” e il pensiero lo estrae dal fatto che solo ora è per davvero fatto. La nostra cultura è fondata sul lavoro non solo perché ci portiamo dietro la maledizione biblica ma anche e soprattutto perché per essere dignitosamente noi stessi abbiamo bisogno di lavorare nella vigna del Signore o del pensiero.
Tra la nostra cultura e la civiltà antica c’è di mezzo la schiavitù. Gli Antichi potevano ancora confidare sulla schiavitù perché la verità non era storica ma naturalistica o metafisica. Gli Antichi sono i figli del mito dell’isola dei beati, di un paradiso perduto ma esistente che si riflette nel pensiero dei sapienti e dei sacerdoti. Noi Moderni non possiamo più tollerare la schiavitù perché la verità è storia. Non è solo una questione pratica. E’ anche e soprattutto una riforma morale e intellettuale: il pensiero non riceve la verità ma è esso stesso la verità e il suo esercizio di verità è allo stesso modo frutto di lavoro. In principio non solo è il verbo ma anche il lavoro. L’uomo moderno è il frutto del suo lavoro intellettuale e morale, conoscitivo e volitivo. I Moderni hanno creduto per un po’ – e a volte lo credono ancora – che il paradiso perduto nel passato lo si potesse riconquistare nel futuro. Ma un mito capovolto rimane un mito (pericoloso). Il paradiso perduto è perduto per sempre, il che significa che non c’è mai stato. Paradiso e inferno sono qui e ora, sempre. L’uomo non può far altro che passare attraverso peccata mundi e redimersi, perdersi e redimersi. Il pensiero lo libera e non lo rende schiavo di se stesso (e di altri uomini).
La duplicità del lavoro del concetto significa che la realtà – le cose che sono – conosce se stessa nel pensiero e il pensiero una volta svolto il suo compito si riconsegna alla realtà – le cose che sono. Tra mondo e pensiero – o vita e pensiero o essere e pensiero o storia e pensiero o cose e pensiero – c’è una perenne scissione che perennemente si apre e si chiude. Come una ferita sanguinante. La vita risale al pensiero e chiede di essere com-presa e ri-sanata e il pensiero una volta compiuta la sintesi si ridà in pasto alla belva della vita che lo sbrana e che a sua volta darà da pensare al pensiero.
Il lavoro del concetto è senza tregua: è una sorta, anzi, senza sorta, è proprio il ciclo continuo di creazione del mondo. Il lavoro di produzione non conosce pausa e noi vi siamo dentro proprio come siamo dentro la nostra vita la quale è nostra più per modo di dire che nei fatti giacché siamo noi che apparteniamo alla vita più di quanto la vita non appartenga a noi. E questa padronanza limitata che abbiamo della vita e della storia – che è un atto di umiltà del pensiero che conoscendo unisce il mondo e lo redime dalla sua continua felix culpa di essere – non è contraria alla nostra libertà ma, all’inverso, ne è la più salda garanzia.
La filosofia, dunque, è la conoscenza del lavoro del concetto che ci permette di vivere da uomini ossia di prendere in mano la nostra vita senza nutrire eccessive illusioni sulla padronanza del mondo che per darci vita e umanità deve sempre sfuggirci e consegnarsi. La filosofia così intesa non è dottrina ma una funzione vitale ed essa stessa un lavoro da svolgere secondo necessità, a volte con leggerezza, a volte con il sudore della fronte perché il lavoro del concetto si porta dietro la fatica che il concetto fa per creare Dio uomo e mondo.