Qualche tempo fa Umberto Del Basso De Caro rilasciò un’intervista al Corriere del Mezzogiorno nella quale diceva di non aver alcuna fiducia nella borghesia meridionale. Lì per lì non capii il riferimento che ora, invece – ammesso e non concesso che esista ancora una cosa chiamata borghesia – dopo aver letto mio malgrado le ormai famose intercettazioni pubblicate da Il Fatto e da Il Mattino, mi appare più chiaro. Umberto – mi sia concesso con amicizia solo l’uso del nome – in quanto borghese e meridionale conosce dal di dentro la disprezzata borghesia meridionale e, magari, quando si guarda allo specchio la vede, la riconosce e istintivamente ne diffida. Sarà accaduto anche a voi, forse, di leggere i dialoghi telefonici del sottosegretario del governo Renzi e di vedere all’opera un importante esponente della nostra classe dirigente e, istintivamente, di diffidarne. Umberto, non senza ragione, anzi, precisa che quei dialoghi non hanno rilievo penale e definisce una barbarie la pratica della pubblicazione di conversazioni private. Credo anche io che sia una barbarie e arriverà un momento in cui la totale trasparenza ci accecherà tutti non facendoci distinguere più tra bene e male. Tuttavia, le intercettazioni sono diventate un genere letterario in cui le vittime e i carnefici si alternano nei ruoli. Ieri, ad esempio, fu la volta del ministro Nunzia De Girolamo, oggi tocca al sottosegretario Umberto Del Basso De Caro.
La difesa che Umberto fa di se stesso sta in piedi penalmente, ma è vana politicamente e moralmente. Se non vi sono risvolti penali – e non voglio neanche saperlo, anzi, con buona pace di Gabriele Corona, che invita la magistratura a indagare ancora, spero che la storia finisca qui – ci sono pecche morali che a mio modo di vedere hanno molto più valore. Signori lettori, io personalmente ho letto, ascoltato, verificato ma in tutte le occasioni in cui i politici si sono occupati della sanità non è mai venuto fuori un minimo interesse per la condizione dei malati e per il miglioramento del servizio sanitario. Se il politico avesse una anche minima vicinanza al mondo della sofferenza dei malati forse potrebbe anche concepire di non usare la sanità come mezzo di potere ma di usare un po’ di potere per migliorare la sanità. Purtroppo, la nostra classe dirigente è una classe digerente che ci è rimasta sullo stomaco. Gli avanzi verranno spazzati via per manifesta incapacità.
Dai dialoghi telefonici è venuto fuori che il sottosegretario, che all’epoca non era ancora sottosegretario, già sapeva che le conversazioni del ministro De Girolamo con i dirigenti dell’Asl erano state registrate. L’ex ministro, facendo appello alla sua cultura liberale, ha subito gridato al complotto. Si può capire il suo stato d’animo e, forse, anche la sua condizione di politico tradito dai suoi stessi uomini, ma se qui c’è un complotto è un complotto contro la città di Benevento, la sanità sannita, le famiglie e i malati. La storia di Benevento, pur nella sua dimensione provinciale, ha partecipato più di una volta alla formazione e ai lavori dei governi nazionali, ma mai abbiamo assistito ad una tragicommedia come questa che a puntate, da qualche anno, va in onda in Italia e fa conoscere i veleni e i panni sporchi del Sannio. Può darsi che ieri – ad esempio durante la vituperata epoca di Mastella – certe cose non si sapessero e ora invece tutto viene a galla, può darsi. Ma non sembra essere questa l’unica differenza.
Una volta Antonio Gramsci per ragionare intorno alla borghesia italiana – era giusto un secolo fa, 1915 – disse che mentre gli inglesi giocavano secondo le regole chiare e riconosciute del football, gli italiani erano abituati a giocare allo scopone in cui conta la strizzatina d’occhio, la diplomazia segreta, il colpo sottobanco, le carte segnate e, insomma, tutto quel repertorio di consuetudini in cui una società usa grandi e roboanti parole ma sa che poi le cose si portano avanti con le raccomandazioni, le entrature, le buone parole, i ricatti, i questurini, i dossier e via sgranando il rosario. Non c’è, francamente, da menar scandalo: non è cronaca giudiziaria ma storia patria. In particolare, come volete che funzioni una realtà piccola e provinciale come quella, ad esempio e per caso, di Benevento in cui tutti conoscono tutti e la mano destra sa cosa fa la mano sinistra e la sinistra sa cosa fa la destra e tutte e due servono a lavare la faccia? Non c’è proprio nulla di nuovo sotto il sole, le cose da che mondo è mondo sono sempre andate avanti secondo la logica delle carte segnate dello scopone, solo che – e qui è il punto – i nostri eroi contemporanei invece di giocare lo scopone secondo le regole classiche si sono montati la testa e hanno creduto di essere più realisti del re, hanno creduto di essere veri statisti e così invece di limitarsi a far funzionare il sistema dello scopone hanno pensato bene di trasformarlo in uno scopone scientifico. La logica dello scopone è quella di un gioco dalle carte truccate in cui ci si orienta verso il bene. La logica dello scopone scientifico rivisto e corretto secondo i nuovi draghi è quella di un gioco dalla carte truccate in cui l’unico senso è il trucco. E’ come un albero che dà frutti e che rimane albero anche se dà frutti avvelenati.
La regola elementare della Democrazia cristiana, che ha tutte le sue colpe ma almeno sapeva campare, era la mediazione tra consenso e bisogni. Oggi la nuova classe digerente – in particolare quella del famelico Pd – ha puntato tutto sui bisogni del proprio consenso rendendo il suo potere non solo inutile ma perfino nocivo. Così oggi ciò che emerge sono i veleni di un potere ormai privo di contenuti, marcio. Nella logica dello scopone scientifico di Umberto e Nunzia chi fa scopa è il movimento 5 stelle. Tanto più nero della mezzanotte non può venire.