di Antonio Medici
Scrivo gli articoli di questa rubrica nella notte tra il giovedì e il venerdì, nonostante l’invito del direttore ad anticiparmi. E’ un abitudine ed in parte una necessità. Anche questa settimana non sfugge alla regola. E’ difficile però ora raccontare altro dal disastro. Scrivo da una stanza affacciata sul fiume Calore di Benevento. Un silenzio irreale fa da contraltare al fragore della notte di ieri quando il fiume, dopo aver invaso campagne, paesi e più punti della città, scorreva con forza inaudita e spaventosa, sfiorando gli archi delle campate del ponte Vanvitelli, lì dove una stele ricorda l’uccisione di Manfredi di Svevia.
Avrei scritto, come spesso è accaduto, di vini stappati, vissuti, degustati in un’enoteca che da ieri non c’è più, mortificata dal fango che ha assorbito vino e vite, senza tuttavia riuscire a sopraffare la forza dei titolari di nutrire una disperata speranza di rinascita più sicura e vigorosa.
In otto ore è venuta giù la pioggia di un mese, gonfiando a dismisura torrenti e fiumi costretti nel loro corso e lungo il loro percorso da decenni di sciagurate opere di un uomo immemore, dimentico di quanto già avvenuto in passato. Bevo amaro il caffè dei papi, Yauco Selecto, affacciato sul fiume mentre rileggo gli appunti tristissimi di tutte le storie che ho raccolto nella giornata di ieri. Nella valle telesina, il territorio più vitato della regione Campania, alcuni tra i più arditi vignaioli non avevano ancora raccolto le uve rosse (aglianico, barbera,qualche grappolo di sangiovese), si ritrovano ora con i vigneti allagati e l’uva perduta. La Cantina sociale di Solopaca, patrimonio di una comunità, vita e reddito di tanti, è seriamente danneggiata. Nel Fortore stalle e animali di razze pregiatissime sono stati portati via dal Tammaro, un affluente del Calore. Le campagne, con le loro colture sono allagate, i contadini con le masserie inagibili, la zona industriale della città è azzerata. Lo storico pastificio Rummo, oggi punta avanzata di produzione industriale della pasta di qualità, esportata in tutto il mondo a rappresentare una tradizione quasi secolare di lavorazione a Benevento, è inservibile.
Il fango è ovunque e calpestato produce un suono ottuso, gommoso. Questo dà un tono surreale alla rumorosità dei pensieri che si sovrappongono osservando i giovani studenti stranieri, appena giunti in città per il progetto di studio Erasmus, unirsi ai tanti volontari per spalare la melma e liberare strade ed accessi alle attività commerciali, alle abitazioni. Si riscopre umanità, solidarietà, attaccamento alla propria terra nell’aiuto alle famiglie che hanno avuto la casa distrutta.
La quiete ben ordinata con cui ora le acque scorrono strette nel proprio alveo tra queste devastazioni, tra tronchi e rami spezzati, alberi piegati dalla violenza cieca delle acque, dà rabbia e sembra esprimere un senso di cinica soddisfazione per la reazione furiosa e ripristinante alla decadenza, all’incuria, all’arroganza e sventatezza dell’uomo, esposta simbolicamente sul pelo dell’acqua da cisterne, tubi, condotte di plastica, bidoni. Il fiume scorre e scorrerà, con pazienza di lustri sopporta oltraggi e coercizioni, poi, infine, impone rispetto.
Piangano se stessi gli uomini per i danni subiti, la natura c’entra nulla o poco più.