Il primato della cazzata è il tempo che viviamo. Non solo e non tanto perché siamo immersi senza soluzione di continuità in un mondo di scemenze, sciocchezze, stupidaggini ma anche e soprattutto perché scemenze, sciocchezze, stupidaggini hanno preso il posto della verità. Un tempo la propaganda era smentita dai fatti ma oggi i fatti non esistono più, il mondo è diventato una grande macchina che produce miti di propaganda e la cazzata ha scalzato la verità conquistando il primato.
La cosa – il primato della cazzata – funziona così: s’inventa una storia che abbia una sua coerenza astratta supportata dai cosiddetti dati – questa storia inventata è lo storytelling: una narrazione di comodo – e la si dà come fosse oro colato ai mezzi di comunicazione che divulgano la cazzata ben architettata come fosse la verità. Una volta che la cazzata ha preso le sembianze della verità il gioco è fatto e comincia a produrre i suoi effetti: altre cazzate. Infatti, la cazzata infiocchettata con i dati potrebbe essere smentita dai fatti ma i fatti nessuno li conosce perché la conoscenza è fatica, studio, impegno, dedizione, rigore ossia attitudini, abitudini, costumi che non si usano più. Perché conoscere i fatti quando si possono citare i dati? Così, siccome non c’è il bimbo di Andersen per dire che il re è nudo, tutti siamo impegnati a produrre cazzate. Come la terza legge della dinamica dice che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria così la terza legge della dinamica della cazzata dice che ad ogni cazzata corrisponde una cazzata uguale e contraria (invece, la prima legge della dinamica della cazzata dice che una cazzata in quiete tende a restare in quiete, mentre la seconda legge che l’accelerazione di una cazzata è direttamente proporzionale alla forza di un’altra cazzata che agisce su di essa).
Prendete lo storytelling della “buona scuola”: è un classico esempio di cazzata elevata a sistema. Il governo ha costruito la storiella supportandola con gli immancabili dati; poi ha detto che avrebbe proceduto a riformare la scuola; quindi ha creato lo slogan per definire tutto e ha creato l’hashtag #labuonascuola che non significa un cazzo ma siccome tutti si sono messi a ripeterlo, anche chi gli contrapponeva una cazzata uguale e contraria, è diventato un mito contemporaneo. I mezzi di comunicazione, sulla base della seconda legge della dinamica della cazzata, hanno fatto il resto ossia il gioco del governo divulgando la storia della riforma de #labuonascuola e pubblicando paginate e paginate, a stampa e in rete, su come sarebbe cambiata la scuola, sui poteri del preside-sceriffo, sulle valutazioni. Risultato? Un intero paese, senza sapere né leggere né scrivere – è proprio il caso di dirlo – si è messo a parlare di una cosa inesistente – la riforma de #labuonascuola – e nessun giornalista di un grande giornalone ha mai detto al capo cazzaro presidente del Consiglio l’unica cosa valida da dire: “Ma perché parla di riforma della scuola quando si tratta solo di un banale provvedimento oltre che una mastodontica infornata ope legis di docenti?”.
Se dalla cazzata scolastica elevata a sistema passate al pasticcio costituzionale – con annessa legge elettorale – il risultato non cambia, anzi peggiora. E così per i tagli alle tasse, alla spesa, alla politica: tutto è avvolto in una grande cazzata gassosa in cui il potente di turno si sente autorizzato a ritenere che la propria cazzata sia la sacrosanta verità. Il Pd, in particolare – il partito di maggioranza relativa nel senso che è relativa al volere del senatore Verdini -, pensa che ogni sua cazzata sia la luce divina e se provate a criticarlo vi risponde non con le armi della critica ma con la critica delle armi della comunicazione. Se criticate il Pd sul piano locale vi insultano e minacciano in consiglio comunale. Se lo criticate a livello provinciale telefonano al tuo amico affinché tu intenda. Se lo criticate sul piano regionale vi accusano di giornalismo camorristico. Se lo criticate a livello nazionale ti dicono: “Allora non avete capito chi comanda”. L’Italia sembra essere diventato un paese in cui non sono i giornalisti ad occuparsi del governo ma è il governo ad occuparsi dei giornalisti. Quando lo faceva Berlusconi almeno i giornalisti gli facevano le pulci e addirittura gli mettevano le cimici, ma ora che in fondo i giornalisti (di sinistra) passano solo veline, il governo fa sentire subito la voce del padrone se qualcuno si permette di non prendere in considerazione le sue cazzate. Il governo per motivi politici è fautore soprattutto della prima legge della dinamica della cazzata e ha anche un suo motto latino: quieta non movere et cazzata quietare.
Un tempo erano i fatti a generare le notizie, ora sono le notizie a generare i fatti. Complimenti. C’è chi riflette sui nostri tempi e su un giornalismo telecomandato che dà “risposte automatiche”. E’ vero, viviamo uno strano tempo. Un tempo in cui “accessibilità ai media” da un lato e polverizzazione dell’informazione dall’altro hanno generato il grande equivoco di confondere la “produzione di contenuti” con il giornalismo. Ma il giornalismo non riesce a svoltare. Prima ha inseguito i format della tv commerciale (generando con essa una letale autoreferenzialità), oggi in totale affanno si misura (e perde) con il primato delle scemenze e lo storytelling da propaganda. Chissà forse gli storici segneranno quest’epoca con l’efficace definizione dell’Era della socialconfusione. Lieto di averti letto.