Ci sono giorni in cui non dormo e penso a te, come cantavano i Ricchi e Poveri, e ci sono giorni in cui non esco e penso che – come diceva quell’adulto con riserva che era Edmondo Berselli – a volte sia meglio stare a casa. Ci vorrebbe un libro comico sulla politica italiana ma non si può scrivere perché la politica è diventata una comica e il libro è superfluo. Ho sentito dire a un sottosegretario scolastico che il governo sta preparando un programma didattico all’insegna della tolleranza e della conoscenza e del rispetto. Perché un governo s’interessi ai programmi educativi è uno dei dogmi più cretini della cultura politica più scema che gli italiani abbiano mai prodotto ma fa capire perché siamo immersi nel fanatismo e nell’intolleranza.
Una volta ero una giovane promessa ed ero lì lì per spiccare il volo e diventare un venerato maestro mentre mi son trasformato nel solito stronzo. Non son cazzate, è verità. Antonio Polito disse: “Sei una giovane promessa, chissà se diventerai un venerato maestro o il solito stronzo”. E’ andata come vi ho detto ma mi consolo perché, come diceva un venerato maestro americano, Dio è morto, Marx pure e anch’io oggi non mi sento molto bene. I maestri, venerati o no, non ci son più e sono finite anche le giovani promesse. Sono rimasti solo gli stronzi e gli stupidi che sono l’aggiornamento delle categorie prezzoliniane dei fessi e dei furbi. Se esci li trovi ovunque. Meglio stare a casa.
Non si sa bene chi sia l’inventore di questa teoria generale delle giovani promesse, dei soliti stronzi e dei venerati maestri ma si sospetta che sia il venerato maestro di Voghera. Una volta, quando c’erano i veri maestri, la vita era più vita, era più vera. Nicola Matteucci, l’ultimo grande liberale italiano – ora c’è rimasto Piero Ostellino che ci fa due confetti così lui e l’empirismo britannico che pure sarebbe cosa seria -, si ritrovò in gioventù a cenare insieme con Riccardo Bacchelli a casa di Benedetto Croce. Durante la cena il filosofo e lo scrittore confabulavano tra loro mentre il giovane Nicolino era un po’ in disparte insieme con le figlie del filosofo. Poi accadde quel che accadde, come Matteucci riferì a Eddy Berselli e come Berselli scrisse nel suo venerato libro Venerati maestri e come io gli chiesi conferma e come lui confermò tutto parola per parola prima di andare in onda in una trasmissione del tempo perduto. Accadde quel che ora vi dico e ve lo dico solo perché oggi sto chiuso in casa col silenzio per amico.
Dunque, mentre la cena andava avanti per il meglio la cameriera si presentò con un bel vassoio di ostriche. Forse, le gentili figlie del filosofo non conoscevano quei molluschi e i loro gusci. Così mentre Bacchelli si legava il tovagliolo intorno al collo e si preparava a consumare il fiero pasto, una delle ragazze con un po’ di rossore chiese: “Ma come si mangiano le ostriche?”. Bacchelli già portava il guscio verso la bocca che già aveva spalancato ma sentendo la domanda rimase a bocca aperta e con l’ostrica a mezz’aria; così, guardando un po’ storto ma con la sapienza antica del venerato maestro che riporta l’umanità inconsapevole ad un grado maggiore di gusto vita e verità, disse poeticamente: “Si mangiano come si lecca la patacca di una bella donna”. E verosimilmente leccò, risucchiò e trangugiò.
Si sa, il mondo vero è finito in una favola ma il mondo falso, nel quale viviamo, dove finirà? Per chi ne voglia saper di più sulle ostriche sappia che c’è l’incertezza delle varianti: forse Bacchelli non disse patacca ma bivalve o, come a volte credeva di ricordare Matteucci, figa e basta. Ma, sia come sia, il nome della rosa non conta.