Era il 1982 quando Claudio Lubrano ebbe la felice intuizione di unire corsa e storia: nacque così, ad un parto, la Strasopportico. Dalla poesia di un uomo, la storia di un paese. Sì, perché la Strasopportico ormai non è più di Claudio Lubrano ma di Sant’Agata dei Goti e le appartiene come il castello e il duomo, i dipinti dell’Arcuccio e gli affreschi del Giaquinto, i capitelli di San Menna e le verdi colline che la difendono.
La Strasopportico nacque come una sfida e come un debito. La sfida era la libertà. Il debito era la storia che aveva insegnato la libertà. Negli anni settanta Claudio correva in solitudine contro il sorrisi di molti e gli apprezzamenti di pochi. Correva contro il vento ed era una sorta di Forrest Gump – “corri, Claudio, corri” – che cercava nella corsa la gara della vita. Ora, giunto in una fase dell’esistenza in cui si è tentati dal guardare indietro, Claudio si volta e vede se stesso correre. Ma non è il passato. E’ il presente. Perché all’inizio e alla fine tutto si tiene. La corsa è ritornata ad essere la ragione di una vita, il senso nobile di una nobile sfida. Il senso di una vita. Ieri era contro i pregiudizi, oggi è contro l’illibertà.
L’amministrazione di Sant’Agata dei Goti ha vietato la XXXIV edizione della Strasopportico. Ma la storia di un paese non si vieta, chi la vieta l’ignora. La Strasopportico è santagatese e l’amministrazione ha commesso un grave errore. Negli anni i santagatesi hanno imparato ad amare la corsa e vi hanno scoperto ciò che la corsa porta con sé da sempre: il senso della libertà. Correre è sinonimo di libertà. Chi vieta di correre vieta la libertà, vieta la vita. Correre è un atto di liberazione, è una rivoluzione come sapeva benissimo Emil Zàtopek – la locomotiva umana – del quale solo qualche anno fa proprio a Sant’Agata dei Goti con Claudio raccontammo la storia straordinaria discutendo il libro di Marco Franzelli. Con la corsa si conquista se stessi perché si corre per conoscersi e per essere. Quando Abebe Bikila, l’etiope che correva senza scarpe, vinse la maratona alle Olimpiadi di Roma nel 1960 disse: “Oggi ho conquistato Roma correndo a piedi nudi e in segno di pace”. Perché la corsa ha questo di straordinario: conquista con la pace. E la corsa che Claudio vorrà fare domani a Sant’Agata dei Goti è la corsa della vita. Io correrò con lui perché trentatre anni di storia e cultura, gara e sport non si cancellano con un pretesto, con un capriccio vietando a un paese intero – atleti, bambini, donne, gioventù, anziani, famiglie, nonni – di correre e godere della propria bellezza e della propria gioia. Forse, quanto sta accadendo doveva accadere. Perché la bellezza tragica della storia umana passa anche in un piccolo paese: non riduciamo la storia della Strasopportico negata a una vicenda municipalistica. Guardiamo il senso vero degli atti fatti che, al di là delle intenzioni dei singoli, ci sollevano verso una storia più grande di noi in cui il divieto di correre è né più né meno che la negazione delle libertà civili che non si possono vietare senza mortificazione.
Una volta Zàtopek disse: “Se desideri vincere qualcosa, corri i 100 metri. Se vuoi goderti una vera esperienza, corri una maratona”. Domani sarà una piccola maratona. Non si vincerà nulla se non la propria libertà.
Io domani corro perché la libertà è più bella del potere. Chi è libero corre, con le gambe o col cuore.