Nicola Rossi, autorevole economista e già parlamentare del Pd, ha più volte detto e sottolineato che “i partiti meridionali sono associazioni a scopo di lucro”. E’ un po’ il segreto di Pulcinella della politica meridionale e, tuttavia, denunciarlo con forza per ricavarne le necessarie conseguenze è un bene. Lo stesso Rossi, infatti, ha anche specificato quale sia l’obiettivo di fondo di quelle particolari associazioni a scopo di lucro che sono i partiti meridionali: “Intercettare e suddividere i flussi di spesa pubblica che arrivano al Mezzogiorno”. E anche questo potrebbe essere un altro segreto di Pulcinella perché è storicamente accertato che la politica meridionale e nazionale si è retta su questo presupposto: trasferimenti finanziari al Sud in cambio di voti. Eppure, anche qui è bene dirlo e intendersi perché le cose oggi sono cambiate. I partiti – o quel che ne rimane, visto che sono divisi tra padroni nazionali e cacicchi locali – continuano ad essere associazioni a scopo di lucro e organizzano il consenso come una banda larga ma gli enti che amministrano, dai comuni alle regioni ai ministeri, sono indebitati. La situazione, dunque, è delicata finanziariamente e pericolosa socialmente.
La stragrande maggioranza dei municipi meridionali è indebitata fino al collo. I bilanci sono sostanzialmente falsi. I revisori dei conti non fanno in tempo ad accertare debiti e disavanzi che si aggiungono altri debiti e altri disavanzi. Gli amministratori – anche gli stessi che si scagliano contro il falso in bilancio – truccano i conti per non dichiarare il dissesto finanziario dell’ente. Lo fanno per un motivo semplice: se lo facessero non avrebbero più la possibilità di gestire la spesa residua e verrebbe meno la missione dell’associazione partitica a scopo di lucro. Un ente che dichiara il dissesto finanziario è un ente che si auto-commissaria per dichiarato fallimento nell’intenzione pratica, sotto il controllo ministeriale, di risanare le finanze. In questo modo, però, le associazioni a scopo di lucro, di cui fanno parte gli amministratori, perderebbero potere. Ecco perché si preferisce dichiarare i debiti fuori bilancio o truccare i conti: in questo modo a pagare sono soprattutto i contribuenti con le tasse a fondo perduto.
La gestione della spesa pubblica è il cuore della politica meridionale. La spesa pubblica è sostanzialmente privatizzata. Ma in modo diverso da come fanno i privati. La spesa privata è gestita in modo oculato, ogni centesimo è spaccato in quattro e ad ogni uscita corrisponde un’entrata. La spesa pubblica privatizzata invece è fatta alla maniera di Pantalone: ogni scusa è buona per spendere giacché il fine della spesa pubblica non è l’opera ma la stessa spesa. La gestione della spesa pubblica è inversamente proporzionale alla gestione del patrimonio privato: più calano le risorse pubbliche più aumentano i patrimoni privati. Per capire il tragitto dei flussi finanziari e dove, in sostanza, vanno a finire i soldi o dove sono andati a finire i soldi si potrebbe immaginare di fare una sorta di indagine o rendiconto dei patrimoni degli amministratori e degli ex amministratori prima e dopo la cura. Sono passati da molto tempo i giorni in cui il presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, per altro da buon napoletano sempre ben vestito, si faceva rivoltare il cappotto o da quando un galantuomo come il liberale Valitutti moriva nella casa romana in cui viveva umilmente in affitto. Oggi i patrimoni dei cacicchi sono ingenti: ville, case, appartamenti, automobili, viaggi, benefit, investimenti. Naturalmente, soprattutto a sinistra, sono gli stessi che ritengono e dichiarano che la causa della crisi delle finanze italiane è l’evasione fiscale. Le associazioni a scopo di lucro, come il vizio del lupo, non rinunciano mai alla loro missione e sono sempre alla ricerca di soldi altrui da spendere e ridistribuire impoverendovi.