di Antonio Medici
Lo stillicidio delle brutte notizie informa e conforma l’immaginario, stereotipa il pensiero; è difficile immaginare la bellezza di un quartiere popolare perché sempre da lì arrivano i resoconti avvilenti: la droga con i suoi spacci e le sue morti, la disperazione della povertà, le violenze comuni, le prepotenze. Eppure è possibile oggi deliberatamente deviare dalla propria direzione, un po’ barcollando sul lastricato sconnesso di basalto, girare e rigirare in un piccolo dedalo di strade il cui perimetro alto di case e palazzi disegna un cuneo tra il mare, la ferrovia e la zona industriale e scoprire ad ogni angolo, ad ogni passo un dettaglio, uno sguardo, un saluto, una stanza con decori votivi, un basso, un sprazzo di malinconia, uno spruzzo di vitalità, un altare, un’icona religiosa ed una profana, un santo e Mario Merola, una madonna e una matrona, un commercio desueto e consunto di bacinelle azzurre e bottiglie di vino sotto lettere scrostate, un’umanità quieta e dimenticata. La pizza fritta non sarebbe la stessa fuori di qui.
Anna Manfredi, la masardona, così detta per esser stata messaggera di chissà quale segreto dispaccio, friggeva per strada in questo quartiere popolare – Mercato o Case Nuove – negli anni quaranta del Novecento. Oggi i suoi epigoni hanno affiancato alla friggitoria una saletta in cui consumare sempre rigorosamente con le mani ma stando seduti; le posate manco vengono servite ed all’avventore maleducato che chiede coltello e forchetta il cortesissimo Pasquale spiega come la pizza fritta si mangi tenendola tra le dita. Tavoli e sedie forse sono l’unico tradimento, necessario, alla strada. In tanti, comunque, ancora ritirano il cartoccio dalla bottega scarna e spartana e mangiano in piedi, sul marciapiede giusto di fronte al portone della casa che fu della masardona Anna, assumendo posizioni ardite imposte dal tentativo di non ungersi o sporcarsi con il saporito contenuto a temperatura lavica della pizza o del battilocchio (una mezza pizza richiusa su se stessa con ripieno e fritta).
Panini e pizze sono assurti a status symbol purché siano griffati dallo chef presentatore, attore, scrittore, coglione. Ciò che si mangiava di corsa e per fame o per capriccio, andando o tornando da scuola, dal lavoro, dalla spesa quotidiana oggi è street food, mette i lustrini e perde sincerità. Una costruzione linda, delicata, costruita, artefatta e rarefatta. Nel contesto di un’enogastronomia sempre più sciccosa che indossa pajette, ceroni, trucchi, ambisce ai quartieri alti, ai ricchi, alla finezza, la Masardona è un tuffo nell’umiltà del saporito che non cerca maschere, del gustoso che rivendica la propria appartenenza al plebeo.
In un devoto spicchio di Napoli il vigore delle radici popolari trattiene la pizza fritta, una resistenza fattuale e metaforica: un luogo, un sapore, una cultura che non cede.
Piacere di arrivarci: *** traffico cittadino, difficoltà di parcheggio, la meraviglia di una passeggiata in un quartiere popolare.
Piacere di essere accolti: **** mangiare in piedi o sedersi nella saletta è un’esperienza di familiarità e cordialità. Pulizia estrema.
Piacere del desinare: ***** Ottimo impasto, splendida frittura, meraviglioso ripieno. In carta varie farciture. Dividetevi almeno un paio di pizze fritte con diverse farciture o scegliete almeno due battilocchi diversi se siete soli. Da non perdere, per finire, la pizza fritta dolce o gli straccetti di pasta fritta col cioccolato artigianale.
Piacere dopo pasto: ***** Mangiare tanto e non sentirsi appesantiti. Con undici euro mangiate e bevete a sufficienza per restar digiuni sino al giorno seguente.
Antica friggitoria “la Masardona”
Via Giulio Cesare Capaccio, 27 – Napoli
081 281057
Orario: 7.30 – 15.30