La Regione Campania è sospesa. Non è uno scherzo. E’ sospesa per davvero. Il decreto firmato dal presidente del Consiglio, in osservanza della legge Severino, sospende Vincenzo De Luca, eletto e proclamato presidente della Regione e, quindi, proprio in quanto tale sospeso nelle sue funzioni. Ma il decreto di sospensione è una realissima metafora che illustra la condizione della Campania che è, ormai, una regione sospesa, che vive tra parentesi, come se fosse un mondo a parte. La Campania vive in un limbo, fuori dalla storia d’Italia, in un tempo senza tempo in cui le cose non accadono ma ritornano su se stesse. E, tuttavia, la condizione di eterno ritorno l’accomuna all’intero paese in cui si corre senza muoversi. Il decreto di sospensione di Renzi, capo del governo e capo del Pd, completa la scelta di candidare l’ex sindaco di Salerno secondo l’alto consiglio di Virgilio dato a Dante per più alti scopi: “Non ragioniam di loro, ma guarda e passa”. Siamo tutti sospesi. In stand-by come televisori spenti in attesa che qualcuno prema il tasto on del telecomando o il tasto off per farla finita.
La Campania è diventata un problema per tutti. Per realizzare il capolavoro campano tante teste si sono messe insieme: la testa di un sindaco che ha fama di essere un amministratore fattivo, la testa di un ex segretario politico della Dc ed ex presidente del Consiglio, la testa dell’attuale segretario del Pd e attuale capo del governo. Testoni uniti per vincere al fine di sospendere il governo di uomini e cose. Il buco nell’acqua come arte di governo. Il pugno di mosche come genio politico. Dove conduce questa sospensione del governo? E’ inevitabile: porta dritto dritto in tribunale. Si è passati dalla politicizzazione della giustizia alla giuridicizzazione della politica. Non è più la magistratura che sospende la politica ma è la politica che si autosospende e si consegna al tribunale. Non è più la magistratura che entra in Parlamento ma è la politica che si reca in tribunale. E’ una totale ammissione di inutilità, fallimento, inconcludenza. La politica ha il compito di scegliere ma la sua ultima scelta è quella di non scegliere. Se ne lava le mani, si fa da parte e passa la palla al giudice che da parte sua non potrà fare altro che sbrogliare una matassa che con codici che contraddicono codici non tarderà a riproporsi ancora più ingarbugliata.
Ma Renzi, che ha rispettato la legge, che altro poteva fare? Ciò che fanno i capi di governo autorevoli che decidono non per partito preso ma nell’interesse di un tempo più ampio di quello della propria piccola biografia: poteva fare un decreto per consentire a Vincenzo De Luca di governare la Campania. Non l’ha fatto non solo per mancanza di coraggio ma per la consapevolezza dell’assenza di autorevolezza. E, forse, in quest’Italia di uomini piccoli è meglio così, altrimenti la piazza mistica che oscilla tra la volontà generale e la giustizia politica avrebbe accusato il fiorentino di essere peggio di Berlusconi per aver cambiato la legge Severino che la sinistra ha usato per estromettere Berlusconi dal Senato e dalla politica attiva. In fondo, anche Renzi che è apparso sulla scena come il meglio del peggio e l’ultima spiaggia di un paese di naufraghi è già rottamato a sua insaputa. A dimostrazione del fatto – se ce ne fosse bisogno – che un nazione paga il fio delle sue colpe che in questo caso sono le bugie e le menzogne che la solita intellighenzia di volta in volta riversa su un capo di governo trasformandolo in un capro espiatorio. Così sembra che nella Campania, come in un nuovo incontro a Teano, si sia dato appuntamento a tutta la storia italiana degli ultimi venti e passa anni che non a caso si sono conclusi nell’inconcludenza e nella sospensione dell’Italia.