La famiglia campana – un papà, una mamma, due bimbi, una casetta di proprietà – è la più tartassata d’Italia: paga ben 500 euro in più rispetto al resto d’Italia. Lo studio di Bankitalia, illustrato ieri da Paolo Grassi, è fin troppo preciso: su un reddito annuo di appena 43mila euro, se ne vanno per la tasse locali ben 2400. Le famiglie e le aziende della Campania, con piccole differenze tra le province, sono quelle che reggono un più alto carico di tributi locali. Infatti, negli ultimi anni il prelievo fiscale degli enti locali è cresciuto di ben 160 euro con uno stacco dalla media nazionale di oltre 50 euro. Insomma, in Campania si paga di più. Perché?
I motivi sono vari ma tra i tanti ce n’è uno prevalente. In Campania si paga una tassa occulta perché la stragrande maggioranza dei comuni è indebitata. Sono sempre di più i municipi che sono costretti a riconoscere debiti fuori bilancio o a dichiarare il dissesto finanziario nell’ultimo disperato e controllato tentativo di ripianare i debiti. In soldoni, le casse sono vuote e per garantire anche solo il pagamento degli stipendi degli impiegati comunali si rincarano le tasse di ogni ordine e grado: Tari, Tasi, addizionali varie, anche l’acqua. Tutto fa brodo ma il conto finale, che ricade principalmente sulle famiglie, è sempre più salato. Questa tassa occulta comunale è il frutto di un federalismo fiscale che nel Mezzogiorno – e in questo caso soprattutto in Campania – ha avuto un’applicazione perversa. Il principio federale applicato al fisco mirava a ridurre la distanza tra chi versa i soldi e chi li amministra. La riduzione della distanza avrebbe dovuto aumentare il controllo da parte dei cittadini e far crescere in responsabilità contabile gli amministratori. Il classico principio della responsabilità istituzionale. Sennonché, in Campania il principio di responsabilità è stato fin troppo facilmente capovolto nel principio di irresponsabilità e invece di aumentare controlli e coscienza civica sono salite vertiginosamente le tasse.
L’effetto perverso del federalismo fiscale in salsa meridionale forse lo si poteva prevedere: si poteva intuire che ciò che funziona in teoria non è detto che funzioni in pratica. La teoria dice che con il federalismo chi amministra male i soldi dei cittadini sarà sostituito, ma la pratica dimostra che chi gestisce male è confermato e anche quando si vorrebbe cambiare non sempre il cambiamento è possibile o migliore del peggio. Insomma, il federalismo fiscale in Campania è rimasto vittima della qualità clientelare della politica locale che al ricambio della classe digerente preferisce il ricorso alla leva fiscale. Un circolo vizioso che impoverisce le famiglie e aumenta la smobilitazione sociale: la nuova emigrazione.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 20 giugno 2015