Il presidente del Consiglio ha perso le elezioni regionali. Nessuno lo dice con chiarezza ma la sconfitta di Renzi insieme con l’altissima astensione – un elettore su due non è andato a votare – sono i dati più significativi dell’ennesimo turno elettorale. Poi, naturalmente, ci sono altri importanti fatti: la Lega che è diventata Forza Italia e Forza Italia che è diventata la Lega, il movimento giacobino dei grillini che diventa il secondo partito nazionale e con l’Italicum si giocherà la partita del governo nazionale. Tuttavia, oggi la notizia è che il rottamatore ha perso e ha rischiato fortemente di essere rottamato. Ha perso in modo netto: in Liguria la sua candidata è stata sconfitta da Toti che è la stampella che ancora tiene in piedi Berlusconi; in Veneto la Moretti è stata sepolta dalla sua stessa ridicolaggine, mentre le vittorie del Pd non sono ascrivibili a Renzi: De Luca è stato subìto, Emiliano è stato tollerato, Rossi è un nemico di vecchia data, in Umbria il Pd ha vinto per il rotto della cuffia e le Marche non sono un’eccezione che conferma la regola. Insomma, Renzi ha perso e il motivo è semplice: il suo governo vale poco.
Il 40 per cento delle Europee è un inganno: è un risultato-limite oltre il quale non si va e, dunque, è insufficiente a vincere le elezioni. Fino ad oggi Renzi prendeva tutti i voti a sinistra e si allargava a destra, ma ora non prende tutti i voti a sinistra e non si allarga a destra. Se non è morto, il renzismo sta molto male. E la sua malattia risiede nella stessa salute: lo storytelling – la cosiddetta narrazione – a cui non corrisponde la realtà dei fatti di un ceto moderato più povero di ieri. Il giovanotto fiorentino si è presentato sulla scena dicendo al ceto medio italiano di essere capace di fare ciò che Berlusconi promise e non fece ma oggi – risultati alla mano – lo stesso Berlusconi può dire di non esser riuscito a fare le riforme ma anche di non aver mai aumentato le tasse mentre dopo un anno e passa di governo Renzi vanno su sia le tasse sia la spesa. Entrambi sono inconcludenti e se ne giovano la Lega di Salvini e il movimento di Grillo con il risultato che il panorama italiano è ricco di zombi e mostri che ci conducono nelle braccia dell’estremismo. Ma non è tutto.
La vera sconfitta di Renzi si spiega con la saccenteria e l’arroganza alle quali non corrisponde nulla di concreto e di valido. Il Pd, sia quello vecchio sia quello giovane, si presenta in televisione e nelle istituzioni con i volti di uomini e donne – molte donne – che hanno la puzza sotto al naso, guardano tutti dall’alto in basso, sono spocchiosi ma a fronte della spocchia non hanno nulla: nei fatti non sanno cosa stanno facendo, hanno una preparazione improbabile, non conoscono né Stato né società ma hanno la presunzione di cambiare la vita alle persone. Questo è il più grande limite di Renzi: credere di saper fare le riforme senza saperle fare. Il suo più grave errore è quello di credere egli stesso al suo storytelling ossia alle sua bugie e quando vi ha iniziato a credere ha buttato a mare il patto del Nazareno. Il risultato è che il suo riformismo è un bluff e la sua forza politica e morale è largamente insufficiente per cambiare un paese corporativo com’è l’Italia.
Renzi porta a casa le riforme ma le riforme non portano a casa il cambiamento costruttivo. E’ da qui che nasce l’astensione. Gli italiani che non vanno a votare – la metà degli elettori – non esprimono solo il rifiuto di un’offerta politica che non digeriscono ma anche la consapevolezza che il male italiano è l’eccesso di politica e l’eccesso di (cattivo) Stato. Chi si astiene sa che il suo futuro non dipende dalla politica ma dalla riduzione dell’incidenza della politica nella sua vita. E’ un’esigenza di decenza per opporsi agli estremismi e alla cialtronesca inconcludenza del pan-politicismo italiano di destra e di sinistra, fiorentino e meridionale.