Mi ritrovo sempre più spesso a dialogare con uomini e cose che non ci sono più. La giovinezza – diceva Umberto Saba – è cupida di pesi e porge spontanea le spalle al carico, ma non regge e piange di malinconia. La giovinezza – o giovanezza come dice il poeta – se n’è ita, per dirla con De Sanctis, e una certa malinconia batte alla porta di casa. I pomeriggi primaverili e autunnali inondavano di luce lo studio di casa di mio nonno e le ore passate al tavolino chino sui libri erano più belli e saporiti. Ritorno volentieri a quel tempo della mia giovinezza per conversare ancora idealmente con quell’adorabile vecchio il cui amore per l’Italia era il riassunto fatto persona di un’educazione civile e letteraria. Ne è passata di acqua sotto i Ponti del Martorano ma non saprei dire se la cara figura del nonno materno sia lontana o irraggiungibile perché, al contrario, mi pare che mi appaia vicina nella continuità di un dialogo vivente così forte, così dolce.
Nell’Italia di oggi mio nonno, che credeva nel liberalismo, nello Stato nazionale e nella scuola come valore culturale, non si riconoscerebbe, ma è banale dirlo; più interessante sarebbe capire se l’Italia contemporanea sia in grado di riconoscere il mondo di ieri e l’umanità di una storia che, forse, ancor ci regge, come le spalle evocate da Saba. Da ragazzino seguivo la rubrica televisiva Almanacco del giorno dopo che prima del colonnello Bernacca e del suo Che tempo fa e prima del telegiornale andava in onda su Rai 1 (l’altro canale era Rai 2 e stop, il mondo finiva lì). Oggi, secondo lo stile di Domani avvenne – che era il cuore dell’Almanacco del giorno dopo – bisognerebbe pensare e seguire un Almanacco del giorno prima. Perché viviamo un tempo in cui si tende a credere di essere il fiore della civiltà e ci si comporta con quella villania e quell’ingratitudine che sono il frutto dell’ignoranza e dell’anagrafe. Certo, ogni generazione fa le sue scelte e i suoi errori ed è giusto così, ma lo stile, il modo e il limite è ciò che marca la differenza tra cultura e rozzezza, civiltà e barbarie.
Le maestre della mia generazione non ci sono più e qualcuna che ancora vive si accompagna alla sua badante. Me le ricordo tutte e per tutte nutrivo affetto e ammirazione. Perché le maestre le ho sempre percepite come a metà strada tra la madre mamma e la madre patria. Le maestre della generazione della mia maestra Assuntina – che da poco se n’è andata, nella bara sembrava una bambina – erano ancora molto vicine a quelle maestre che con l’alfabeto e con l’amore, con le carezze e con le lacrime, con De Amicis e con Pinocchio unirono una nazione ancora divisa nei dialetti e dall’analfabetismo. Ancora oggi vedo le maestre di un tempo, che hanno sepolto il loro tempo e i loro mariti, sotto il braccio delle donne dell’Est che hanno il viso duro e lo sguardo freddo attraversato dalla sofferente lontananza. La maestra e la badante mi sembrano la metafora della natura umana che trasforma se stessa in sostegni e sgabelli sui quali si poggiano ora la fanciullezza ora la vecchiezza. Il mondo che nasce e che muore ha bisogno d’amore.
L’Almanacco del giorno dopo appartiene a un mondo che non c’è più ma anche il mondo di oggi apparterrà ad un mondo che non ci sarà più. Dovremmo imparare a sopravvivere e a scomparire con più eleganza e decenza. Pare che la crisi italiana sia anche frutto di un cattivo rapporto tra padri e figli e nipoti. La generazione di ieri ha vissuto meglio della generazione di oggi; la generazione di ieri ha vissuto a scapito della generazione di oggi ma la generazione di oggi vive a spese della generazione di ieri. Alla fine tutto si tiene. Torti e ragioni, peccati e assoluzioni. I nonni hanno fatto la guerra che a noi è stata risparmiata e i padri hanno raccolto i benefici che ora sono diventati malefici. Perché il mondo è fatto così: muta. E ciò che non torna è proprio l’idea di guardare il mondo per condannarlo distribuendo colpe e reati invece di comprenderlo considerando condizioni e ideali. Ci serve un rapporto tra le generazioni non per rifare i conti della previdenza ma per ripensare i conti con noi stessi e imparare a seppellire i padri e allevare i figli senza incriminare il mondo. Ciò che fa difetto è l’abitudine alla serietà e alla verità. Ci servirebbe un Almanacco del giorno prima.