di Teresa Ferragamo
A proposito di libertà di stampa e giornalisti, la questione sollevata da Billy Nuzzolillo dopo il video del Corriere della Sera sulla vicenda Ristorò, partiamo da una premessa: a mio avviso il rapporto tra stampa e potere è, in generale, un rapporto perverso, tra opposti che si attraggono.
L’indipendenza è garantita solo quando il giornalista riesce a tenersi a debita distanza dal potere che tende, per sua natura, a fagocitare ogni cosa. Questo è possibile quando si verificano due condizioni, in particolare: l’ampiezza dello spazio e la sicurezza economica.
Ora Benevento è una città-quartiere, tutti si conoscono, i mondi si incrociano in un’immobile intersecazione: ci si incontra sempre, al bar, per strada, nei ristoranti. Questo vivere incontrandosi produce una riduzione degli spazi e alla fine è come se questo ‘gomito a gomito’ offuscasse pure la libertà di critica.
Ma c’è un’altra questione su cui riflettere e di cui parla anche Billy Nuzzolillo nel suo articolo: lo scarso riconoscimento economico che insegue e perseguita da anni i giornalisti sanniti.
Ho sempre creduto fortemente nell’articolo 36 della Costituzione, quello sulla proporzionalità tra lavoro e retribuzione. Ma ho anche sempre sperimentato come poco considerato sia dalle nostre parti il lavoro intellettuale, quello che produce idee, che alimenta il confronto anche attraverso l’esercizio del diritto di critica, che dilata gli spazi culturali, che fa crescere una comunità. I giornalisti sanniti sanno bene quanto sia difficile vivere del loro lavoro.
Spesso, però, ci si condanna alla gratuità o ai compensi da fame. Se un editore o chi ti commissiona un ufficio stampa non ha i soldi per valorizzare il tuo lavoro, meglio rinunciare e passare a fare altro, magari mettersi a scrivere sulla carta igienica o farsi un blog da 100 euro. Io l’ho sempre pensata così e sono stata in contesti professionali in cui mi sono anche battuta perché passasse questo principio. Ci si abitua presto alla gratuità, e in questa provincia accade che giornalisti alimentino queste abitudini, compromettendo la credibilità stessa di una categoria professionale.
Il Comandante Moschella reagisce piccato al giornalista Antonio Crispino, accusandolo addirittura di non avergli fatto le domande che si aspettava e poi ‘a casa sua…’.
Una reazione che non mi ha stupito.
Frequento le conferenze stampa di questa provincia e so dal principio quale giornalista farà la domanda e anche che tipo di domanda sarà.
Sono stata in redazioni che erano Gironi dell’Inferno, sono stata accusata di scrivere con ‘perfidia’ mentre esercitavo il sacrosanto diritto di critica o raccontavo cosa era successo nelle stanze di un Palazzo o di un politico, ho due querele che pendono sulla mia testa per le quali non ho mai perso un’ora di sonno, sono stata messa alla porta per ‘discriminazione politica’ (così testualmente recita il verbale di conciliazione con cui ho chiuso una vertenza di lavoro), eppure mai, neppure per un istante, ho pensato che non ne fosse valsa la pena. Per questa benedetta-maledetta ossessione che è questo mestiere, ho sopportato critiche, insulti, cadute di stile, porte in faccia, infine vendette, sguardi obliqui al mio passaggio, risolini d’intesa, ma ho sempre scritto quello in cui credevo. E soprattutto ho sempre avuto il coraggio di dire ‘la penso così, ti piaccia o no’.
Se i giornalisti di questa provincia imparassero a sostenere il peso di avere nemici tra i cosiddetti ‘potenti’, a fare domande scomode nelle interviste e in conferenza stampa, a evitare qualche inchino di troppo, se evitassero di pretendere sponsorizzazioni, di sfoggiare aplomb anglosassone non conoscendo l’aggressività dei tabloid inglesi, forse qualcosa potrebbe anche cominciare a cambiare.
Prima che la vicenda Ristorò deflagrasse grazie al servizio del Corriere solo pochissimi giornalisti locali avevano compreso la gravità delle accuse. Non c’è mai un’inchiesta giornalistica che parta dalle nostre redazioni. Cominciamo a chiederci il perché. E’ colpa del potere che ha interesse a insabbiare o è colpa nostra che non guardiamo nelle maglie più nascoste delle dinamiche di potere, che preferiamo inviare le interviste per posta elettronica, che accettiamo conferenze stampa che sono monologhi di due ore consumate le quali ai giornalisti non viene neppure data la parola?
Tra stampa e potere il rapporto è come quello tra opposti che si attraggono, ma alla fine scegli tu se respingere o andare incontro. E allora te ne assumi le responsabilità.