La buona scuola inizia dalla pasta e ceci. Non a Benevento. La Ristorò – l’azienda che gestisce per conto del Comune la mensa di molte scuole materne ed elementari del capoluogo – il 13 dicembre 2014 gettò via per sua stessa ammissione la pasta e ceci perché i legumi non risultavano ben cotti. Evidentemente Gianluigi Barretta, funzionario e socio dell’azienda culinaria, deve avere un palato sopraffino degno del nostro Antonio Medici se decise di eliminare tutto il pasto di giornata per un problema di semplice cottura. Purtroppo, nel video di Antonio Crispino pubblicato dal Corriere.it la storia che si racconta è molto diversa: non fu un problema di cottura ma di vermi, la pasta e ceci era già stata confezionata e solo dopo l’insistenza delle cuoche – una delle quali arriva a dire di non aver fatto mai mangiare sua figlia alla mensa scolastica – le vaschette con la pasta e ceci vennero bloccate ed eliminate. Il video non solo racconta ma documenta: infatti, la versione di Barretta è smentita clamorosamente dall’operaio che afferma di aver gettato le confezioni monouso che proprio per il giornalista del Corriere recupera e mostra.
La scuola è sommersa dalla retorica. Tale e tanta e a tutti i livelli è la retorica – nazionale, regionale, provinciale, comunale – che non si è neanche in grado di servire un buon piatto di pasta a ceci ai bambini delle scuole materne. Perché in questa brutta storia che va chiarita in ogni suo aspetto – dalla cucina all’appalto ai controlli – ci sono di mezzo i bambini. La mensa di un servizio scolastico ha bisogno non solo di igiene e pulizia – e vorrei vedere! – ma di amore. In questa vicenda, invece, proprio l’amore è l’ingrediente assente. Il pasto giunge da fuori ed è prodotto – anche per ragioni di costi probabilmente – industrialmente. Il Comune affida il servizio di mensa scolastica come fosse un appalto qualunque. I controlli non si sa se sono fatti ma si sa che tra i controllori figurano anche i controllati. Il Comune, qualunque sia il colore politico dell’amministrazione – un fatto questo irrilevante -, dovrebbe seguire da vicino la qualità del servizio della mensa. Le scuole primarie – materna ed elementari – hanno un’amministrazione e una gestione comunale: dipendono prima di tutto dal municipio. Ed è giusto che sia così perché la scuola nasce dallo stesso corpo della società che ha al suo interno sia l’esigenza educativa sia le risorse per soddisfarla. Ma un Comune che non si cura più di tanto della qualità della mensa scolastica è un municipio che considera la scuola né più né meno che un impiccio. Così l’appalto della mensa scolastica diventa un appalto come tutti gli altri. Pasta e ceci.
Pasta e ceci è un piatto nazionale. E’ storia. Rimane memorabile la scena del film di Mario Monicelli, I soliti ignoti, quando la banda composta da Ferribotte, Peppe, Tiberio demolisce la parete dell’appartamento nel quale è furtivamente entrata ma invece di ritrovarsi nel Banco dei pegni con la “comare” – cassaforte – si ritrova nella cucina dell’appartamento dove il vecchio Capannelle si è accomodato a mangiare la pasta e ceci che ha trovato in frigorifero. Almeno, anche per quella mattinata, ha rimediato un pasto. Solo un film? Commedia e nulla più? Sarà. Ma la commedia all’italiana – e in quella commedia c’è una superba interpretazione di Totò – tratta in modo comico, ironico e umoristico argomenti drammatici. Basta cambiare un tono per passare dalla commedia al dramma.
Anche la pasta e ceci della mensa scolastica beneventana sembra essere la scena di una commedia all’italiana in cui il comico tempera il drammatico. I personaggi non mancano. Ci mette del suo anche il capo dei vigili – Moschella – che chiede il tesserino da giornalista ad Antonio Crispino. Tanto per capire se siamo uomini o caporali. Ma questa volta senza Totò.