“Grandi opere, tangenti e favori”: così titola oggi il primo quotidiano italiano. Ma so di vivere in un paese in cui si può anche titolare così: “Piccole opere, tangenti e favori”. Perché i lupi sono tanti e Lupi, che ora si trova nei guai, non è tra i peggiori. Il male principale dei lupi nostrani non è nell’esser lupi ma nel voler apparire agnelli. Capretti. Nella celebre favola classica – Lupus et agnus – il lupo fa il suo mestiere e mangia l’agnello. Ma la chiarezza della cattiveria e del sopruso mal si addice a un popolo che è stato abituato a governare con i paternostri. Il caso di Roberto Helg – presidente della Confcommercio di Palermo che organizzava convegni per contrastare la corruzione e che è stato arrestato in flagranza di reato – è una tipica storia italiana in cui a fare la morale non è Goldoni ma il bugiardo.
Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, deve ora occuparsi del figlio per difenderlo dalla bufera nella quale è venuto a trovarsi. Fa bene a fare il buon padre. Solo che – come diceva la buonanima di Enzo Jannacci – se me lo dicevi prima era meglio. Nell’inchiesta detta “sistema”, che ha portato in galera il potente Ercole Incalza – capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture – e gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, i Lupi, padre e figlio, non sono coinvolti. Però, proprio il figlio del ministro, Luca, fu assunto – secondo le carte della Procura di Firenze – nel cantiere Eni e pagato da Perotti e lo stesso imprenditore regalò al figlio del ministro un Rolex di 10mila euro per il conseguimento della laurea. Certe cose non si fanno non perché siano reati ma perché non sta bene farle. L’assunzione del pur valente figlio di un ministro da parte di un imprenditore che lavora col ministero è peggio di un crimine – direbbe Talleyrand – è un errore. Chi sbaglia paga ma Lupi ha già fatto sapere che non intende dimettersi. Lupi sa di essere buono e bravo e si stupisce che ci siano dei lupi che approfittano di un errore e lo vogliono sbranare come un agnello.
Il problema degli italiani è che sono troppo buoni. La morale pubblica di casa nostra è tutta intessuta della declamazione di grandi principi e di massimi sistemi. Siamo tutti buoni. Teniamo famiglia e adoriamo non solo Bambin Gesù ma anche la recita di Natale che è il prototipo della messa in scena nazionale. Anche il cristianesimo abbiamo trasformato in una scenetta. Non ci sono lupi, siamo tutti agnelli. E se il mondo è pieno di lupi noi con la declamazione dei grandi principi e dei massimi sistemi li convertiamo in agnelli. L’uomo non è per noi un lupo ma un agnello, addirittura un angelo e se gli uomini sono angeli non abbiamo bisogno del governo ma al massimo di qualche paternostro e dei soliti grandi principi e massimi sistemi. Sarebbe così bello e così buono un mondo pieno di lupi: finalmente potremmo avere un governo delle cose umane basato sulla consapevolezza – la cristiana felix culpa – del male necessario. Invece, il mondo italiano è così brutto e così cattivo perché è pieno di agnelli e l’idea che abbiamo del governo è quella del bene ottimo massimo. Il governo, come il mitico Mida, trasforma in oro ciò che tocca. Per la finta cultura italiana non vale più il detto che chi agnello si fa il lupo se lo mangia ma, al contrario, chi lupo si fa l’agnello lo converte. Siamo troppo buoni. Perciò siamo così corrotti. Nell’anima.