Matteo Renzi è la prova vivente dell’esistenza della retorica che sommerge la scuola italiana. La cosiddetta “buona scuola” – uno slogan più irritante delle famose tre I del Berlusconi dei bei tempi andati – è stata sempre presentata, anche quando non esisteva, come la riforma delle riforme. Continua ad essere presentata così – la riforma più importante di tutte – anche ora che continua a non esserci. La scuola è usata per due cose su tutte: per far clienti, come faceva la Democrazia cristiana, e per agitare i giornali che per due giorni titolano a nove colonne – anche se le nove colonne si sono estinte – e poi non sapendo più cosa scrivere della scuola lasciano cadere tutto nel dimenticatoio fino al prossimo slogan. Perché, in fondo, questa è la realtà dei fatti che accomuna tutti, governo, parlamento e circo mediatico: la scuola fa notizia per le assunzioni in massa, per il sesso vietato ai minori, per i soffitti che crollano ma quanto a considerare cosa sia effettivamente la scuola e che sistema scolastico sia quello italiano, beh, questa è una storia che non solo non interessa nessuno ma è anche ignorata da tutti.
Prendete la questione del preside alias dirigente scolastico che – dice il presidente del Consiglio presentando il disegno di legge – diventerà “l’allenatore di una squadra” e potrà scegliere direttamente i professori. I giornali hanno titolato a tutta pagina: più poteri ai presidi. I fatti raccontano un’altra storia. Il preside sceglierà soltanto i professori per il cosiddetto “organico aggiuntivo” ossia per avere per ogni classe e per ogni disciplina i professori di cui ha bisogno. Una volta questa pratica era espletata dal Provveditorato agli studi e poi in seconda battuta dalla chiamata diretta del preside. Ora l’unica novità è che dovrebbe saltare la “prima chiamata” dell’ex Provveditorato. Tutti gli altri docenti della scuola non sono scelti dal preside ma dal ministero che è il vero e unico allenatore della cattiva scuola italiana perché i docenti sono a tutti gli effetti impiegati del ministero dell’Istruzione. Dunque, il preside è tutt’altro che un allenatore e il suo limitato potere di scelta diretta dei docenti è sempre esistito, solo che ora il capo del governo fa demagogia.
C’è poi la questione della valutazione del merito. Cosa tutta italiana e tutta intricata. Non solo perché non ci sono soldi per premiare i meritevoli – ma il merito può essere riconosciuto prim’ancora di essere premiato con i soldi – ma anche perché non si sa bene in cosa possa consistere non il merito ma la valutazione del preside. Non solo perché la stragrande maggioranza dei presidi è al di sotto della qualità dei propri insegnanti ma soprattutto perché gli insegnanti non sono liberi docenti ma, come detto, impiegati del ministero. La valutazione del preside è un po’ l’uovo di Colombo. E’ come se si scoprisse che il preside non ha mai fatto l’unica cosa che dovrebbe fare: valutare i professori. Ma questo nel sistema scolastico italiano, che è la decadenza della scuola di Stato, è impossibile. Un professore, purtroppo, in Italia non vale per ciò che vale ma per ciò che certifica. L’altro giorno è passata una circolare che informava dell’aggiornamento della graduatoria interna dei professori e quindi chiedeva di esibire certificati, titoli, bolli, carte, carri e paracarri. L’unica cosa seria da chiedere non era richiesta ossia se il docente ha scritto, ha pubblicato, ha svolto lezioni, fatto conferenze. Il lavoro del professore è per la stessa scuola un perfetto sconosciuto, un oggetto misterioso. Semplicemente non interessa. Contano i bolli. Così accadrà anche per la valutazione: verranno valutati bolli, pratiche, abilità amministrative e compilative in omaggio a un sistema napoleonico che ha smarrito da almeno cinquant’anni la propria origine e il proprio scopo. Quanto all’arte liberale dell’insegnamento, beh, ci vorrebbe un pallido ricordo di cosa sia la scuola. Ma non interessa nessuno.