di Billy Nuzzolillo
Un destino beffardo ha voluto che Peppe Iallonardo perdesse la vita proprio nel vallone di Olmitello alla cui difesa aveva dedicato un’intera esistenza. E per di più ha voluto che accadesse vicino all’antico stabilimento in cui venivano estratti i sali di magnesio ischitani e dove ancora oggi sgorga un’acqua che nell’antichità fu definita “miracolosa”.
Proprio lì, in quel canyon raggiungibile a piedi dalla spiaggia di Maronti, negli anni Ottanta aveva realizzato il suo sogno: costruire un ristorante con camere vicino alla vecchia abitazione ricavata da una grotta tufacea e circondata da un vigneto, a pochi passi dal torrente di Nitrodi ridotto ormai a un rigagnolo d’acqua a seguito di un’intubazione. “Un’opera scellerata” – spiegava Peppe ai visitatori – “perché filtra le acque del sedimento riducendo l’apporto naturale di sabbia alla spiaggia e rappresenta una minaccia per la fauna e la flora”. Un serio pericolo anche per il rospo smeraldino, che adorava particolarmente: “E’ un animale simpatico e intelligente, che si riproduce in primavera utilizzando piccole pozze d’acqua. Il prosciugamento del torrente lo espone a una potenziale maggiore mortalità. Però, qui nessuno se ne frega. Eppure è una specie protetta a livello europeo.” Per questo motivo aveva realizzato delle magliette con la scritta “Chi ama il rospo smeraldino non capisce il TUBO”, che faceva indossare ai suoi visitatori trasformandoli in testimonial per le sua campagna in difesa dell’habitat di Olmitello.
Si era persino candidato alle elezioni amministrative per “salvaguardare l’identità di un posto speciale”, ma l’esperienza non era stata esaltante. Eppure, continuava a lottare con testardaggine a difesa del paesaggio marontiano perché Peppe era un sognatore, aveva una missione da compiere ed era ancora capace di indignarsi per la visione troppo speculativa degli amministratori di Barano. “Non mi arrenderò mai” disse l’ultima volta che lo sentii telefonicamente. Era inverno ed era appena tornato da un’ispezione ai Maronti, come soleva fare ogni volta che pioveva. Temeva infatti che le piogge potessero trasformare quell’innocuo rivolo d’acqua in una massa di liquidi e detriti capace di trasportare con furia impressionante anche i rifiuti e relitti di ogni tipo incivilmente abbandonati in una vecchia cava, nascosta tra le sovrastanti colline di Barano.
Anche ieri si era addentrato nel suo canyon e, dopo aver controllato la struttura ricettiva immersa tra cactus e banani, aveva proseguito il cammino lungo il sentiero che si inerpica nella gola montuosa per ispezionare l’antico stabilimento.
E lì è stato travolto da un pezzo di tufo staccatosi da quelle rocce che conosceva e amava come pochi altri. Lì è spirato Peppe il corsaro, come veniva amabilmente chiamato dai turisti per via del suo vezzo di indossare bandana e camicie coloratissime che gli conferivano un’aria libertaria e alternativa perfettamente in linea con quel luogo mistico e selvaggio. Lì è terminata la breve esistenza del custode della sacralità di Olmitello d’Ischia.