La calvizie in sé non è più uno scuorno – vergogna – da quando la pelata è ammirata e ricercata, da uomini e donne. C’è un anno preciso a fare da spartiacque: 1989. In quell’anno memorabile in cui, nel bicentenario della Rivoluzione francese, venne giù il mondo comunista, Sean Connery fu incoronato dalla rivista People “uomo più sexy del mondo”. Fu la fine di una ingiusta e ingiustificata conventio ad excludendum e tanti calvi, che fino a quel momento vivevano nel ricordo della gioventù capelluta, si manifestarono con orgoglio rivendicando la bellezza dell’alopecia. Se, in fondo, una fronte spaziosa è stata sempre vista come il segno di una mente pensante, a maggior ragione una testa glabra dovrebbe essere l’incarnazione della res cogitans Era proprio questo l’argomento usato da Sinesio di Cirene nel suo Elogio della calvizie dove fece a pezzi, rapandolo praticamente a zero con pelo e contropelo, Dione di Prusa autore di un pelosissimo Elogio della chioma.
Sinesio di Cirene, allievo della famosa Ipazia, esponente della cosiddetta seconda sofistica, colto, intelligente, eloquente e, naturalmente – e culturalmente -, calvo, decise di scrivere il suo encomio della calvizie per un motivo che si può ben capire: non ne poteva più della retorica dei capelloni che passavano per essere belli e intelligenti come gli dèi. E’ un sentimento umanissimo, comune agli Antichi e ai Moderni, che si prova quando la chioma fluente è assunta di volta in volta o come il modello della bellezza o come il simbolo della contestazione che non tarda a farsi moda e potere. Pier Paolo Pasolini, a suo modo contestatore dei contestatori, vide da subito nei capelloni un linguaggio non verbale che comunicava la volontà di conquistare il potere con il disprezzo per la restante umanità dalla normale acconciatura e con l’attesa dell’avvento prossimo venturo di un mondo che non avrebbe più parlato e pensato con la testa ma direttamente con i capelli. Quei giovani capelloni non sapevano ciò che era risaputo da sempre e che un altro capellone di nome Gesù volle ripetere per chiarire il valore del potere umano: “L’uomo non è padrone neanche di uno solo dei capelli che ha in testa”.
Prima di PPP fu Totò a capire tutto e nell’episodio Il mostro della domenica, diretto da Steno, nel film Capriccio all’italiana del 1967, interpretò un signore che attirava i capelloni in casa e li rapava a zero. La tosatura forzata è una pedagogia autoritaria che, a volte, non è detto sia dannosa, soprattutto se ostacola il conformismo. Nel film i capelloni diventati calvi si nascondono in un rifugio ma la polizia scopre il signore dalle mani di forbice e lo arresta. Il commissario, però, lo rilascerà in cambio di un favore: la rapatura del figlio. Geniale.
Se le teste chiomate vanno in giro con lozioni, gel, asciugacapelli – per non dire di quei signori di un tempo che da una tasca della giacca estraevano il pettine e si davano una sistemata, qualcuno portava il pettine nei calzini, altri in un astuccio conservato nella tasca posteriore dei pantaloni – i calvi, che hanno tutt’altro stile, dovrebbero portare sempre con sé, o scolpire le sue parole nella loro anima, il discorso di Sinesio di Cirene che non esita a capovolgere l’assunto di Dione fino a paragonare la testa calva alla divinità: “Una testa completamente calva è dimora dell’intelletto e tempio della divinità”. E ancora più esplicito: “Probabilmente la divinità stessa è calva”. Il che significa – rispettando la definizione di Platone dell’uomo come “bipede implume” – che c’è un conflitto tra capelli e intelligenza e la seconda si manifesta quando i primi cadono: “Intelletto e chioma non riescono a coesistere, ma si cedono il passo come le tenebre e la luce”. L’encomio del vescovo-filosofo ha alla sua base la metafisica classica: la cura della testa priva di peli è la cura dell’anima che guarda il mondo ideale. I saggi, antichi e moderni, sono calvi: hanno perso i capelli e hanno conservato la testa. Valga per tutti l’esempio di Socrate, Platone e Aristotele, mentre per l’evo medio e i tempi moderni tra i calvi che hanno inciso nella storia dell’umanità si possono citare tra i tanti Carlo il Calvo, Luigi XIV, Napoleone, Churcill, Picasso, Gandhi.
Tuttavia, l’argomento è più sottile di quanto non appaia un capello. Non basta esser calvo per avere in dono la saggezza della calvizie. Una differenza, spaccando il capello in quattro, che già faceva Sinesio. Ci sono calvi potenti del passato che furono autentici capelloni e calvi potenti della modernità che sono stati delle vere teste calde. Lenin e Mussolini pur non avendo un capello in testa sono stati scapigliati. E, per stare a casa nostra, i tre inventori del fascismo, Mussolini appunto, e D’Annunzio e Marinetti, furono capelloni senza capelli. Il giornalista Giovanni Ansaldo ci ha lasciato, da testimone quale fu, un bel racconto del discorso del poeta-soldato – del Vate – tenuto a Quarto in occasione dell’inaugurazione del monumento ai Mille il 5 maggio 1915 con cui inaugurò, con il suo “cranio polito” e luccicante, le giornate del “maggio radioso”. Quando D’Annunzio finì di leggere la lunga serie di “beatitudini”, con cui invitava la gioventù italiana ad andare a farsi ammazzare dalle mitragliatrici austriache, fu circondato dalla folla di giovani orante e osannante: “E fra quella folla c’ero pure io! E situato dietro la macchina del Poeta. Sarebbe bastato che io allungassi le mani per toccare il capo suo, anzi la calvizie sua, su cui pareva riverberarsi tutto quel sole di maggio. E fu questa vicinanza che mi indusse a compiere uno di quei gesti che solo la giovinezza può far venire in mente. Dissi infatti ad un mio coetaneo: ‘Vuoi vedere che cosa faccio?’ E, senza attendere il suo parere, allungai la mia destra e la posai così bene aperta sul cranio del Poeta. Sì, la mano mia in pieno sulla testa calva, calvissima di lui”. E il Poeta? Sentendosi la mano sulla pelata fu sorpreso e irritato. Fissò l’audace giovane con sguardo incredulo ma capì subito che si trattava di un simpaticone che si preparava a partire per la guerra cantando i versi del Poeta: “Italia, Italia – sacra alla nuova aurora – con l’aratro e la prora”. Così l’ira si trasformò in un sorriso mentre il giovane già soldato ritirava la mano dal “cranio polito” che avrebbe concepito altri versi, altre illusioni, altre tragiche commedie. Perché la natura irrazionale dei capelli continua a volte ad esercitare la sua forza oscura anche quando, dopo la caduta degli dèi e della zazzera, compare una testa d’uovo. Forse, da qui il detto: stai a vedere il pelo nell’uovo.
(Ps.: l’Elogio della calvizie di Sinesio di Cirene, curato da Antimo Cesaro, sarà discusso giovedì 18 dicembre alle 18,30 a Villa Beatrice, via Pacevecchia 54, Benevento, da me e altri calvi).