La suggestiva formula “Mafia Capitale” non esprime un fenomeno corruttivo unicamente capitolino ma nazionale. Gli italiani – tutti gli italiani, al Nord e al Sud – guardano Roma e vedono la propria realtà locale come in uno specchio. Ragion per cui scrivere della corruzione romana equivale a scrivere della corruzione che attraversa tutta l’Italia. Altrimenti non potremmo spiegare come mai l’ultimo rapporto di Transparency International indichi il nostro Paese come il più corrotto d’Europa. Il “primato”, appunto, non è romano ma italiano ed è avidamente conteso da rumeni, greci, bulgari. In tutti questi paesi il marcio non è né in Danimarca, né nella solita mela ma nel rapporto perverso tra Stato e nazione. Il senso comune ritiene che la corruzione sia una prerogativa del potere: il potere corrompe. In realtà, se vogliamo capirci qualcosa dobbiamo capovolgere i termini del discorso. Montanelli nel suo ultimo scritto – il Poscritto alla Storia d’Italia, quasi un testamento – arriva a dire che non è il potere che corrompe gli italiani ma sono gli italiani che corrompono il potere. Una frase, terribile, che naturalmente non va letta in chiave etnica ma storica e della storia italiana è una sconsolata sintesi.
Lo Stato è per gli italiani una mamma e una matrigna: l’interesse pubblico è così ampio e dilatato che diventa inevitabilmente interesse privato, partitico, familiare fino a cessare di essere interesse pubblico o nazionale e diventare – per dirla ancora con Montanelli – “cosa nostra”. Il decentramento dei poteri pubblici ha moltiplicato decisioni e spese che, a loro volta, hanno aumentato inefficienze e corruzione. In un paese in cui vi sono più di ottomila comuni, vi sono ben ottomila società per azioni di cui si avvalgono le amministrazioni locali. E’ come se i comuni italiani non fossero ottomila ma sedicimila. E a queste società, che sono dei mostri a tre teste in cui l’interesse pubblico è privato e l’interesse privato è pubblico, bisogna aggiungere una molteplicità di enti. Gli enti non producono ma gestiscono, affidano, appaltano, spendono. I criteri di scelta di queste amministrazioni parassitarie sono fedeltà, amicizia, clientele. Il potere, dunque, nasce già corrotto.
La corruzione italiana nasce dalla inutilità del potere. Il potere inutile non è in grado di incidere perché al suo interno ha abolito per statuto l’interesse nazionale. E’ il trionfo delle mafie che nel Mezzogiorno ci dà la classe amministrativa più corrotta e inutile d’Italia, cioè d’Europa.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 14 dicembre 2014