La verità emersa dalla terra ha portato con sé una leggenda. A Sant’Agata dei Goti si narra di due camion sepolti con tutto il loro mal di Dio nelle profondità oscure della terra di tufo. Fino a quando i camion non salteranno fuori, come arance meccaniche, la storia è destinata ad essere solo una leggenda, un racconto popolare che alimenta fantasie e ossessioni. Anche le leggende, però, come le favole delle fate e degli orchi, ci possono aiutare a crescere e capire.
I camion che dormono nella pancia della terra mi sono ritornati in mente l’altra sera mentre ascoltavo in splendida solitudine santagatese don Maurizio Patriciello. Il prete raccontava del suo incontro con Carmine Schiavone e di come il camorrista gli spiegasse le mille e una nefandezza. Tra queste c’era anche la modalità di sepoltura dei rifiuti industriali o con il rimorchio del camion o con l’intero camion: “Perché i rifiuti industriali erano così tossici, velenosi e pericolosi – ha detto il sacerdote che ha fatto della Terra dei fuochi la sua sacrestia – che coloro che li interravano non li toccavano e li collocavano nella terra con rimorchio e camion intero”. La leggenda, dunque, non è tanto leggendaria. Più che una leggenda è una storia verosimile. I rifiuti tossici, quelli già rinvenuti, venivano scaricati con i camion e i camion, che viaggiavano e operavano di notte – ma non solo di notte – non sono per nulla frutto della fantasia.
Mentre don Patriciello parlava e raccontava del suo confronto con il camorrista, al quale, afferrandolo per un braccio, diceva “ma che razza di uomini e camorristi siete voi che avete osato avvelenare la vostra stessa terra”, mi riaffiorava alla mente anche uno stralcio di un’intercettazione ambientale – un dialogo telefonico dell’operazione Falena riguardante anche Sant’Agata dei Goti -, pubblicata tempo addietro nelle pagine napoletane de Il Mattino, in cui il trasportatore parlava dell’esigenza di coprire il carico con dei teli e il suo interlocutore di rimando: “Ti guardano da sopra il palazzo, attento che ti guardano. Possono vedere, vedono i cazzi nostri”. Scene come queste, purtroppo, non sono per nulla delle leggende. La verità sottoterra riemerge parlando con i santagatesi: lungo l’arco di un trentennio ritornano fatti, episodi, vicende e la verità si mostra a noi, come sempre, attraverso gli errori, gli sbagli e i reati di un mondo le cui trame sembrano a volte del tutto intese al male.
La leggenda dei camion sepolti con i loro carichi di soldi e veleni ci dà la possibilità di capire altre cose. Le ex cave santagatesi erano molto larghe, vaste, ampie. Ma quanto erano profonde? Ottanta metri e non di meno. Le ricordo personalmente. Ricordo, ad esempio, che proprio a Palmentata, in una cava che col tempo si riempiva e saliva alla luce, morì un ragazzo che vi finì con la sua automobile. Tutti lo cercavano e lo davano per scomparso. Dopo oltre un mese fu trovato come fu trovato nella terra sottostante la strada, ancora nell’atto vano di aprire lo sportello dell’auto per uscirne. Se fu difficile scorgere un’auto in superficie, figuratevi come sia arduo e difficile trovare dei camion che giacciono a ottanta metri di profondità. Come ingoiati dal nulla. Gli scavi che sono stati fatti non sono andati oltre i venti metri: una profondità che non sfiora neanche la metà della profondità delle ex cave. Scavare fino a quella profondità è semplicemente impossibile.
Il pericolo è la falda acquifera. I veleni raggiungeranno l’acqua? C’è già una data: 2065. Per la Terra dei fuochi si ritiene che sia quello il tempo in cui i veleni industriali scenderanno così in profondità da raggiungere l’acqua. Ma si può intervenire con una bonifica? Forse no. Questo è un punto importante da sottolineare perché le bonifiche possono diventare un ulteriore affare criminale. Prima c’è stato l’affare criminale con l’interramento dei veleni, poi ci potrà essere l’affare finanziario con le bonifiche. Ecco perché su questa storia dobbiamo sapere e saper raccontare: i pericoli, gli affari e i crimini alle spalle di intere comunità non sono ancora finiti. Gli interramenti velenosi hanno prodotto veloci arricchimenti illeciti. Leggendari. Le bonifiche non devono arricchire. Una volta accertato il danno reale – l’avvelenamento -, la bonifica non dovrebbe essere fatta dallo Stato – che comunque non è in grado di intervenire e non è mai intervenuto – ma dai proprietari dei terreni (se nel tempo non sono cambiati).