di Antonio Medici
Ho passato due giorni al Salone del Gusto, a Torino, e ne sono uscito sempre digiuno ed affamato. L’ultimo giorno anche incazzato. Ho speso tutto il tempo tra laboratori e conferenze, ho girato per i banchi dei paesi esteri, nel cosiddetto oval, la bella ed interessante area retrostante i capannoni che ospitavano il “”mercato italiano”, ossia gli stand con i produttori italiani organizzati per regione. Mi sono fatto guidare dai ragazzi dell’Università di Pollenzo tra le esposizioni, queste un po’ deludenti, dei paesi del Maghreb, ho cercato chicche italiane, ho esplorato con curiosità l’area della Campania. Ho disperatamente cercato i segni della vocazione agricola della nostra provincia e, lo ripeto, mi sono incazzato.
Il grafico a corredo di questo articolo è chiaro ed impietoso e dice che il Sannio è stato sostanzialmente assente al Salone del Gusto, forse la più importante manifestazione gastronomica d’Italia dedicata ai piccoli produttori. Una kermesse internazionale che ha attratto 220mila visitatori in 5 giorni.
Salerno, Caserta, ossia la terra in cui i fuochi dovrebbero aver spento ogni vocazione agricola, Napoli, il cui territorio si dice devastato, Avellino, la provincia a noi più vicina, erano rappresentate da più aziende di quante hanno raccontato il nostro territorio. Su 75 presenze complessive nell’area riservata alla Campania, solo 5 stand erano occupati da aziende sannite. Quattro produttori ed un consorzio, per la precisione.
Delle due l’una: o non siamo territorio a vocazione agricola con produzioni di qualità o abbiamo ai vertici di associazioni, confederazioni ed istituzioni degli emeriti incapaci.
Ci ribelliamo alle discariche e alle trivellazioni denunciando la deturpazione e l’usurpazione del territorio di cui declamiamo l’uso agricolo e poi ci presentiamo al mondo con cinque stand immersi e sommersi dal resto della nostra regione?
Attivisti dei comitati “no triv” e di Slow Food della Campania e della Basilicata hanno organizzato un flash mob al Lingotto per manifestare dissenso contro le paventate trivellazioni petrolifere. Sui social network sono fioccate le foto della protesta. Come si possa pensare che con questo genere di manifestazioni sia possibile difendere un territorio è davvero un mistero. Se qualcuno ci crede non ha capito nulla o è in cerca di occasioni di visibilità personale.
Il territorio va “speso”, va proposto con strategie precise che diano il segno di una forte rete sociale e produttiva portatrice di interessi non rinunciabili, economici innanzitutto. Diciamolo senza ipocrisie. Il paesaggio che non vive è terra abbandonata, esposta all’uso del più forte.
Sui tavoli istituzionali il confronto tra nostalgie bucoliche ed interessi dei petrolieri, suggestioni agresti e bramosie di utili, non regge. Bisogna presentarsi come portatori di interessi e noi a Torino abbiamo dimostrato di non avere interessi. Il messaggio che abbiamo portato al Salone del Gusto è un messaggio di debolezza, chiaro ed inequivocabile. E perché ci sentissero bene e la debolezza non passasse inosservata, abbiamo anche alzato la voce e battuto i tamburi. Complimenti.
Le responsabilità della nostra debolezza sono diffuse a tutti i livelli. Prendere uno stand in una manifestazione come quella appena conclusasi costa e pochi produttori sono in grado di sostenere l’esborso o di valutarlo come investimento. Non abbiamo, del resto, reti efficienti di produttori, capaci di sollecitare aiuti istituzionali. Non si capisce ancora che occorrono cooperative, consorzi, alleanze. Bisognerebbe finirla una volta e per sempre con le invidie, la sfiducia, le politiche di retroguardia.
Il livello istituzionale, del resto, non pare avere visioni strategiche in grado di mutare la situazione, sollecitando i produttori, indicando una strada. All’epoca in cui bisognava prenotare gli stand il Presidente della Camera di Commercio di Benevento era espressione del mondo agricolo, eppure non è stato sborsato un solo euro per portare a Torino il mondo agricolo del Sannio.
Nessun Comune tra quelli che pure hanno vocazioni e produzioni agricole di qualità, d’altronde, ha sollecitato, promosso e sostenuto le aziende del posto, acquistando uno spazio espositivo. Eppure si spendono migliaia di euro per inutili sagre o manifestazioni di analoga inconsistenza.
La Coldiretti, uno dei maggiori sponsor della manifestazione di Slow Food, a Benevento è forte ed esprimeva vertici istituzionali, eppure non risulta si sia spesa per organizzare una significativa presenza sannita a Torino. Le organizzazioni dei coltivatori, del resto, sono impegnate in guerre di trincea per accaparrarsi poltrone di rappresentanza, infischiandosene però di definire percorsi strategici per il futuro dell’agricoltura nel Sannio.
In Provincia di Benevento, per finire, Slow Food è presente con ben 4 condotte, rette complessivamente da una ventina di dirigenti. Persone che conosco bene, animate da grande passione. Mi chiedo, vestendo i panni del socio Slow Food, e chiedo loro, non è che anche la nostra azione vada rivista e magari sia necessario un maggior raccordo tra le condotte se non addirittura la fusione di tutte in una sola grande condotta Sannio?
Spero che questo commento critico susciti una discussione aperta e franca; questo blog sarà felice di ospitare l’intervento di chiunque ritenga di voler replicare, precisare, commentare.
Per finire, riconosciamo il giusto merito a chi ha avuto la forza di esserci:
Autore, San Marco dei Cavoti, www.casaautore.com
Spigabruna Bio, Pietrelcina, www.spigabrunabio.com
Maltovivo, Ponte, www.maltovivo.it
Laboratorio Agricolo Panella, Castelpoto, www.laboratorioagricolopanella.it
Sannio Consorzio Tutela Vini, Benevento, www.sanniodop.it